Dopo poco meno di cinque anni di OpenOffice, il Comune di Pesaro ha deciso di tornare sui suoi passi e riaffidarsi a Microsoft ed alla sua suite Office . Il Comune marchigiano aveva deciso di passare nel 2011 ad OpenOffice, addestrando i suoi 500 impiegati al suo utilizzo: tuttavia ora ha scelto di ripetere la migrazione al contrario, tornando al software proprietario di Microsoft e scegliendo gli strumenti per la produttività in cloud di Office 365.
Oltre che una considerazione di offerta (si parla nel comunicato principalmente dei vantaggi del cloud), il ragionamento è strettamente legato ai costi: con il ritorno a Microsoft il comune ha calcolato un risparmio fino all’80 per cento .
Dopo la scelta del software libero, infatti, il Comune si era trovato impreparato, o meglio sembrava aver sottovalutato il compito di conversione dei documenti finora redatti nel formato proprietario e dunque non più compatibile. Per tale processo di conversione dei file è stato calcolato che avrebbe avuto bisogno di circa 15 minuti al giorno da parte di tutti i suoi 300 impiegati dedicati specificatamente a tale compito, con una conseguenza perdita di efficienza nella produttività e di costi-lavoro da aggiungere ai 300mila euro inizialmente spesi per la formazione. A questa perdita di efficienza si deve aggiungere poi – secondo quanto riferisce l’amministrazione comunale – quella legata al maggior tempo necessario ad effettuare determinati compiti con OpenOffice rispetto che con la suite Microsoft.
In uno studio, commissionato dalla municipalità all’Osservatorio Netics, si parla addirittura di una spesa annuale per singolo utente “pari a oltre 500 Euro, ben superiore rispetto alla precedente spesa annuale per utente di Office pari a circa 118 Euro”. Proprio perché il ragionamento è rimasto attaccato al mero calcolo dei costi, la notizia è stata ripresa da diverse parti come esempio: d’altra parte il dibattito sulla scelta tra software proprietario e libero è ancora aperta ed accesa in particolare su tale punto.
Se si esclude, almeno momentaneamente, di seguire la logica secondo cui il software libero permette di adattarlo specificatamente alle esigenze ed agli utilizzi che se ne intende fare, resta la valutazione dei costi di licenza rispetto a quelli che accompagnano il software libero (costi di migrazione e di addestramento di risorse umane in grado di utilizzarlo e farlo funzionare). Per traghettare il discorso fuori dalla teoria, tuttavia, serve la prova dei fatti: che passa appunto attraverso scelte di legislatori ed amministrazioni.
In questo senso negli ultimi anni sono diverse le storie di realtà che hanno abbandonato il software proprietario: è per esempio Monaco di Baviera ad aver portato avanti un’operazione di 10 anni per convertire la sua rete civica a Linux, ed in Italia il Consiglio provinciale di Trento ha dato il la alla trasformazione nel 2012 con una legge sul software libero e sull’utilizzo dei formati di dati aperti all’interno della pubblica amministrazione.
Prima di prendere Pesaro come esempio bisogna tuttavia sottolineare che, come spiega uno dei responsabili del rapporto che hanno portato all’abbandono di OpenOffice Stefano Bruscoli, la migrazione di Pesaro era stata solo parziale : “Abbiamo incontrato diversi ostacoli e disfunzioni nell’utilizzo di specifiche funzioni. Inoltre l’impossibilità di sostituire Access e – in parte – Excel – ci aveva spinto ad adottare una soluzione ibrida”.
Inoltre nelle valutazioni che hanno portato all’abbandono della migrazione non si tiene conto del lungo periodo: il risparmio, cioè, che sarebbe stato generato quando i dipendenti comunali si sarebbero abituati ad utilizzare i nuovi strumenti (senza perdite e problemi) ed i documenti sarebbero stati convertiti tutti in formati compatibili con OpenOffice.
Claudio Tamburrino