Un comunicato stampa sul portale dell’UE annuncia che la Commissione Europea mette i supercalcolatori del vecchio continente al servizio delle fonti di energia sostenibili: in pratica gli scienziati impegnati sulla fusione nucleare potranno simulare il funzionamento di un reattore senza dover fisicamente averne uno a portata di mano o costruirlo per l’occasione.
Il periodo 2004-2011 del progetto è coperto da uno stanziamento di ventisei milioni di euro destinati al consorzio DEISA , la rete dei più avanzati laboratori europei di supercalcolo poggiante su GEANT , il network a larghissima banda deputato a connettere i singoli centri nazionali di ricerca e studio. Tutto ciò costituisce il contributo dell’Unione al progetto ITER sulla fusione dell’atomo, nel quale sono coinvolti anche Russia, Cina, Giappone, India, Corea e USA.
Nelle attuali centrali la produzione di energia avviene tramite fissione , vale a dire una reazione a catena controllata in cui nuclei si scindono se bombardati con neutroni. La fusione al contrario procede per aggregazione dei nuclei degli atomi come succede nelle stelle. I vantaggi, a detta degli studiosi, verrebbero dai materiali usati e dalla diminuzione di rischi ed effetti collaterali: la prima richiede poi elementi rari, detti “transuranici” (con un numero atomico superiore a quello dell’uranio) difficili da gestire e smaltire, mentre la seconda abbisogna di quelli comuni più leggeri del ferro.
Gli ambientalisti invece sono da tempo sul piede di guerra contro ITER: secondo Greenpeace, gli enormi costi complessivi (10 miliardi di euro) con la prospettiva di non arrivare a nulla di concreto prima di decenni sarebbero stati meglio indirizzati verso le energie eoliche e solari.
Tra i direttori dei centri interessati intenti a rilasciare dichiarazioni, il professor Achim Bachem del laboratorio tedesco Julich indica una potenza elaborativa di 100 teraflops generata da 1.080 nodi, ognuno fornito di due Quadcore Nehalem dell’Intel per la macchina – ribattezzata ITERputer – destinata alla struttura nel sud della Francia.
Sull’altra sponda dell’Atlantico non stanno però a guardare, negli USA l’IBM fornirà un computer da ben 20 petaflops , 1,6 petabyte di memoria, 96 rack, 98.304 nodi di calcolo e 1,6 milioni di core, nome in codice Sequoia , proprio al dipartimento dell’Energia statunitense. La sua attività sarà volta a simulare test atomici sotterranei e calcolare la sicurezza degli ordigni stoccati. Il consumo? Solo sei megawatt l’anno: quanto cinquecento abitazioni.
Fabrizio Bartoloni
I precedenti interventi di F.B. sono disponibili a questo indirizzo