Rastrellare informazioni sui tracciati di navigazione dei cittadini della rete è intercettazione, e le intercettazioni vanno brandite nel rispetto della legge. Le autorità del Regno Unito non hanno saputo disinnescare le minacce che Phorm fa pendere sulla vita online dei cittadini della rete: per questo motivo l’Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti del paese membro. Mentre le aziende abbandonano la scomoda nave del behavioral advertising.
I provider del Regno Unito erano allettati dalla possibilità di far fruttare i propri utenti: British Telecom, Virgin Media e Carphone Warehouse si erano resi disponibili a vendere a Phorm un punto di osservazione privilegiato per nutrirsi delle abitudini online dei netizen. Abitudini che Phorm avrebbe ruminato e elaborato, abitudini da convertire in dati da vendere agli uomini del marketing . Promettevano esperienze di navigazione inedite e personalizzate, facevano appello a all’ esigenza dei cittadini di godere di una pubblicità tagliata su misura. Ma nella strategia di comunicazione dei provider e dell’operatore di behavioral advertising c’erano degli strati sottaciuti.
Nel caso di British Telecom non si era cercato il consenso del cittadino: un documento emerso nei mesi scorsi ha dimostrato che l’ISP nel 2006 aveva condotto una sperimentazione sotto silenzio. Denunce e invettive , un intervento di Tim Berners Lee: le autorità europee erano state mobilitate. La risposta del Regno Unito era stata evasiva: la deep packet inspection declinata in salsa commerciale non avrebbe violato il diritto alla privacy del cittadino fino a quando avesse offerto trasparenza e la possibilità di svincolarsi dal servizio.
L’Europa non si era rassegnata ai riscontri poco reattivi della autorità britanniche e aveva promesso di indagare. Ora, la lettera di messa in mora, l’apertura della procedura di infrazione . Le autorità del Regno Unito hanno due mesi per fornire delle giustificazioni: qualora l’Europa non si ritenesse soddisfatta procederà a formulare un parere motivato. Ed eventualmente a rivolgersi alla Corte di Giustizia.
“Le tecnologie come il behavioural advertising possono essere utili alle aziende e ai clienti, ma devono essere utilizzate nel rispetto della normativa europea – ha spiegato il commissario Viviane Reding – Queste norme esistono per proteggere la privacy dei cittadini e devono essere applicate in maniera rigorosa da tutti gli Stati membri”. “Il quadro normativo europeo che tutela la privacy è fatto di regole cristalline: le informazioni relative ad una persona possono essere usate solo con il suo consenso” ha ricordato Reding, che nelle scorse ore si è altresì espressa a favore di un maggior impegno da parte di tutte le piattaforme online per garantire ai netizen la riservatezza che spetta loro di diritto. Ci sarebbero “dei problemi nel modo in cui il Regno Unito ha applicato parti della normativa europea in materia di riservatezza delle comunicazioni”: il Regno Unito, avvertono le autorità europee, considera illegale l’intercettazione “intenzionale” quando venga condotta senza “ragionevoli motivi per ritenere” che sia stata accordata l’ autorizzazione ad operare . La situazione in cui opera Phorm sarebbe ancora tutta da chiarire.
I cittadini della rete auspicano che l’intervento formale dell’Unione, così come quello delle autorità statunitensi nei confronti di servizi quali NebuAd , possa contribuire a sgombrare il campo da dubbi e minacce. Ma la bolla del behavioral advertising sembra sgonfiarsi sotto il pungolo e gli affondi di netizen e autorità: nonostante le analisi di mercato traccino per il behavioral advertising un panorama stimolante, sono numerose le aziende che stanno scegliendo di non avvalersi dei servizi di Phorm, fra queste anche Amazon UK e LiveJournal . Phorm, nel contempo, sembra dibattersi senza riuscire a trovare una dimensione. Le rassicurazioni inondano il mercato e i cittadini della rete, ma la data di lancio del servizio galleggia ancora nell’incertezza.
Gaia Bottà