Phorm è pronto a incunearsi tra provider e utente, a monitorare click e connessioni, ad analizzare comportamenti e a risputare target che gli inserzionisti possano colpire: mancano pochi mesi alla conclusione della sperimentazione, la dirigenza scalpita. Ma a temperare gli entusiasmi potrebbero intervenire le autorità europee.
Nel Regno Unito erano tre, British Telecom, Virgin Media e Carphone Warehouse, i provider che si erano lasciati allettare dalla possibilità di ritagliare per Phorm uno spazio di osservazione privilegiato sulla vita online dei cittadini. Sarebbe bastato concedere l’installazione dell’hardware necessario alla deep packet inspection, sarebbe bastato stare a guardare : il consenso che gli utenti avrebbero ceduto in cambio di un’esperienza di navigazione personalizzata e sicura avrebbe potuto assicurare ai provider gli investimenti degli inserzionisti.
Denunce e scomuniche non erano bastate per responsabilizzare gli ISP facendoli rinunciare all’opportunità di business offerta dal behavioral advertising. Nei mesi scorsi era però emerso un documento che testimoniava che British Telecom avesse avviato delle sperimentazioni già nel 2006, all’insaputa dei propri utenti: l’Unione Europea si era mobilitata affinché le autorità del Regno Unito verificassero la liceità delle soluzioni di behavioral advertising e dei meccanismi con cui venivano somministrate ai cittadini della rete.
ICO, il garante della privacy britannico, non si era sbilanciato; l’Home Office aveva demandato al legislatore il compito di far coesistere il diritto alla riservatezza dei cittadini e le esigenze del mercato. Le autorità europee avevano altresì chiesto un parere al Department for Business, Enterprise and Regulatory Reform (BERR). Phorm, aveva assicurato BERR, può inquadrarsi senza attriti nella legge del Regno Unito: finché l’utente offre il proprio consenso informato, finché i dati del netizen sono tradotti in una identità numerica, le tecnologie di behavioral advertising non hanno motivo di essere temute.
Sono rassicurazioni che non hanno però soddisfatto la Commissione Europea: l’ultima sollecitazione , ha chiarito a The Register un portavoce del commissario Reding, risale alla fine di gennaio. Non solo è in dubbio che Phorm si possa conciliare con il quadro normativo del Regno Unito: l’intercettazione del traffico prevista dal sistema rischia di collidere con le direttive europee in materia di privacy. “La Commissione – ha avvertito il portavoce – potrebbe dover procedere ad un’azione formale se le autorità del Regno Unito non dovessero fornire una risposta soddisfacente alle preoccupazioni relative alla coesistenza con il quadro normativo europeo”.
Nonostante l’incombere della minaccia del coinvolgimento della corte di giustizia europea, il CEO Kent Ertugrul si dimostra ottimista : “Siamo una tecnologia che amplifica la privacy – ha assicurato – non possiamo sapere chi siete”. Le sperimentazioni condotte fianco a fianco con British Telecom sotto l’etichetta di Webwise procedono a spron battuto, le indagini in corso non rappresentano un intralcio: “Tutto sarà probabilmente attivo entro la fine del 2009”.
Gaia Bottà