Più che un popolare (anzi popolarissimo) strumento di relazioni sociali e coacervo di passatempi casual, ultimamente Facebook fa notizia per essere il crocevia di ogni sorta di istigazioni criminali . Succede ad esempio nella città inglese di Malvern, nel Worcestershire, dove la diciottenne Keeley Houghton è finita per tre mesi in riformatorio dopo aver pubblicato online, sul suo profilo di Facebook, delle vere e proprie minacce di morte nei confronti della coetanea Emily Moore.
Secondo quanto stabilito dagli agenti di polizia, Houghton ha fatto pratica di bullismo su Moore per ben 4 anni (iniziando quindi dai suoi 14 anni), collezionando denuncie per danni alla proprietà con calci alla porta di casa della vittima, espulsioni da scuola frequentata da entrambe dopo aver assaltato la giovane nel ritorno a casa e un ingiunzione del tribunale che la obbligava a stare lontana da Moore.
La minaccia di morte su Facebook (“Keeley is going to murder the bitch”) ha rappresentato dunque il punto di arrivo di una giovane carriera criminale ben avviata anche se, come spesso accade in questi casi, messa di fronte alle sue responsabilità la ragazza ha pianto ammettendo tutto e dicendo che quelle parole erano state scritte sotto l’effetto dell’alcool.
Il giudice distrettuale non si è però lasciato intenerire, e ha accompagnato la sentenza di breve reclusione con il seguente ammonimento: “I bulli sono codardi per natura, a scuola come nella società. I malvagi, odiosi effetti di cadere vittima di bullismo rimangono con te per una vita intera. Oggi tu hai compiuto un atto di cattiveria gratuita solo per soddisfare la tua natura contorta”.
È interessante notare come la polizia britannica abbia scelto, per le sue indagini online, di servirsi di consulenze specifiche per monitorare i social network alla ricerca di prove criminali come nel caso della giovane Houghton. Prove che acquistano un’importanza sempre maggiore in un mondo con stabili propaggini telematiche in ogni aspetto delle relazioni (o perversioni) sociali, e in ricerca delle quali nemmeno le pretese di anonimato di un blog newyorkese ospitato sui server di Google (Blogger) reggono alla prova dei tribunali.
Passando dal Regno Unito (e dagli States) all’Italia la sostanza non cambia, Facebook rappresenta l’ultima frontiera in fatto di bullismo anche se nel caso specifico si tratta di cinque minorenni di Piacenza che hanno preso di mira la loro ex-insegnante di italiano alle medie. I ragazzi avevano creato un gruppo di insulti gratuiti rivolti alla donna, che per loro sfortuna si è però accorta del fatto denunciando la diffamazione alle autorità. La Polpost è risalita facilmente ai colpevoli grazie agli indirizzi IP (evidentemente forniti da Facebook), e ora i genitori rischiano anche di dover versare un risarcimento alla vittima in sede civile.
Alfonso Maruccia