Nairobi – I grandi del software hanno approfittato di una conferenza internazionale sull’Information Technology in Kenia per diffondere un nuovo grande allarme: quello della pirateria che, a loro dire, si diffonde a macchia d’olio in Africa.
Il rischio, secondo gli esperti, è che l’illegalità diffusa possa non solo affossare la crescita economica dell’intero settore tecnologico locale, ma anche trasformarsi in un boomerang per l’Erario dei diversi paesi nei quali, spesso, le condizioni economiche sono già critiche.
“Le copie illegali, in Africa, sottraggono alla legalità ben 9,8 miliardi di euro. Non possiamo continuare a stare fermi ed assistere a tutto questo. Abbiamo bisogno di un cambiamento e contribuire tutti alla crescita delle economie, attraverso un programma serio che protegga la proprietà intellettuale e provveda all’educazione dei consumatori e delle imprese”, ha dichiarato Abed Hlatshwayo, manager del Dipartimento anti-pirateria di Microsoft per l’Africa Occidentale e del Sud.
Gli ultimi studi dal punto di vista dei produttori sono piuttosto sconfortanti: l’81% del software utilizzato in Africa è pirata. Uno scenario desolante, che in alcune regioni sfiora l’iperbole, laddove è pressoché impossibile trovare traccia di un uso lecito del software.
Hlatshwayo è convinto che anche una riduzione di solo il 10% del fenomeno mondiale, entro il 2009, porterebbe consistenti benefici al mercato ICT e ai singoli paesi. Le proiezioni confermano che questa inversione di tendenza genererebbe un ricavo fiscale di 17,8 miliardi di dollari in Medio Oriente e Africa.
“Le persone non vogliono spendere soldi per qualcosa che è quasi gratuito. È difficile, ma le società di software hanno bisogno di convincere i consumatori che l’acquisto legale di un prodotto porta un valore aggiunto, come ad esempio gli aggiornamenti per la sicurezza, il supporto tecnico, garanzie etc. Cose di cui i prodotti pirata, ovviamente, non dispongono”, ha sottolineato James Kusewa, manager della società IT africana Dimensions Data .
Difficile comprendere anche da dove iniziare. In Zimbabwe la percentuale di pirateria sul totale del software utilizzato è stimata al 90%; in Botswana e Nigeria sfiora l’82%; in Kenya “solo” l’80%. Il software illegale proviene, nella maggior parte dei casi, da paesi che storicamente si sono sempre distinti per politiche di controllo piuttosto labili, come gli Emirati Arabi, l’India, il Pakistan, la Cina, la Malesia e l’Indonesia. Ma la pirateria ora cresce anche in Botswana, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal e Zambia. Tanto che la Business Software Alliance , l’alleanza dei produttori di software proprietario, ha inserito questi paesi nella “Top 20” dei paesi “canaglia” in quanto a pirateria.
“Informare i consumatori sugli effetti della pirateria e stimolare i Governi ad un maggiore controllo dell’import sono due possibili soluzioni”, ha spiegato Edward Sigei, avvocato del Kenya Copyright Board . “La pirateria si è trasformata in una minaccia per l’industria quando è andata a intaccare i diritti degli sviluppatori che sono protetti di fatto dalle norme sul copyright. L’intero sistema è in pericolo”.
Sigei è convinto che le responsabilità dovrebbero essere equamente ripartite fra i consumatori e i Governi. “Gli enti governativi dovrebbero impegnarsi nel cercare di formare una coscienza collettiva. Informare, insomma, sugli effetti negativi della pirateria e della contraffazione. Incentivare la legalità e allo stesso tempo rafforzare l’azione di contrasto, incrementando le denunce, le condanne e le pene”.
Dario d’Elia