Pirateria, ISP come boia?

Pirateria, ISP come boia?

I fornitori di connettività che, come Cox, siano stati informati delle violazioni perpetrate dai loro utenti devono operare come le piattaforme che ospitano i contenuti, e mettere in atto misure dissuasive o repressive. In caso contrario sono considerati corresponsabili
I fornitori di connettività che, come Cox, siano stati informati delle violazioni perpetrate dai loro utenti devono operare come le piattaforme che ospitano i contenuti, e mettere in atto misure dissuasive o repressive. In caso contrario sono considerati corresponsabili

Da semplice fornitore di connettività a boia per gli utenti che, per mezzo del suo servizio, violino il diritto d’autore a mezzo P2P: Cox, uno dei principali ISP statunitensi, dovrà risarcire l’industria della musica con 25 milioni di dollari, giudicato corresponsabile delle azioni dei propri utenti.

Almeno sulla carta, Cox è fra i provider statunitensi più severi nei confronti degli abbonati: ha aderito alle prime sperimentazioni del sistema dei six strikes incoraggiato dalle autorità degli States per dissuadere gli utenti dall’abuso del diritto d’autore, e ha scelto, a rischio di inimicarsi i propri abbonati, di mettere in atto un proprio sistema repressivo, facendo accettare per contratto la possibilità, per i recidivi che violino il diritto d’autore online, di essere disconnessi temporaneamente o definitivamente . Su questa condizione faceva leva la denuncia depositata lo scorso anno da BMG Rights Management LLC sulla base del controverso operato di Rightscorp, che ha individuato un manipolo di indirizzi IP che si sono macchiati di condivisione illecita, contro i quali Cox non aveva calato la scure.

BMG si era scagliata contro Cox per non aver implementato il regime volontario di notifiche dei six strikes e per non aver rispettato quanto previsto nel contratto: pur informata delle accuse di violazioni commesse dai propri utenti, lamentava BMG, l’ISP si rifiutava di agire, invocando le limitazioni di responsabilità previste dal DMCA . Cox aveva ribattuto alla denuncia innanzitutto mettendo in dubbio l’ affidabilità di un soggetto come Rightscorp, protagonista di un business definito “estorsivo”, e ricordando che, su segnalazioni valide e non su semplici accuse formulate da parte dei detentori dei diritti, è sempre stata solita agire in maniera proporzionata , riservando la misura estrema della disconnessione solo agli utenti che fossero giudicati estremamente pericolosi.

Il tribunale incaricato di valutare il caso ha di recente rigettato le argomentazioni del provider: il giudice Liam O Grady ha aderito all’interpretazione voluta dall’industria dei contenuti nel leggere il paragrafo 512(i) del DMCA, che fissa le condizioni a cui le piattaforme si debbano adeguare al volere dei detentori dei diritti violati, e ha ritenuto che non solo le piattaforme che ospitano fisicamente i contenuti, ma anche i fornitori di connettività siano chiamati ad agire nel momento in cui siano informati di violazioni perpetrate attraverso i propri servizi. Proprio sulla base dell’inazione di Cox, definita tale sulla base di questa estensiva interpretazione del DMCA e fondata sull’analisi di certe email interne in cui i dirigenti ragionavano sulla proporzionalità delle sospensioni, al provider sono state negate le limitazioni di responsabilità previste dalla legge.

Il verdetto , su queste basi, va da sé: Cox è a conoscenza delle violazioni ma non adotta un policy “ragionevole” nei confronti di coloro che abusino ripetutamente del diritto d’autore per mezzo dei suoi servizi, e per questo motivo è da ritenersi, secondo il giudice , corresponsabile delle violazioni. L’ISP dovrà risarcire con 25 milioni di dollari BMG, 18mila dollari per ciascuna delle 1397 opere contenute della lista stilata da Rightscorp.

BMG già auspica che la decisione chiarisca agli ISP che “hanno la responsabilità di agire e di limitare le violazioni massive perpetrate attraverso i loro servizi segnalate dai detentori dei diritti”. A Cox, e al mercato dei fornitori di connettività, non resta che sperare nell’appello.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
21 dic 2015
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