Roma – Sono giorni bollenti per il diritto di copia. La novità più grossa arriva da Montpellier, in Francia, dove la locale Corte d’Appello ha stabilito che un giovane utente non può essere considerato colpevole del fatto che sul proprio personal computer e su CD masterizzati siano stati rinvenuti quasi 500 film, 488 per la precisione.
Stando al giudizio dei magistrati transalpini, dunque, all’utente 22enne non può essere comminata la sanzione economica di 15mila euro chiesta dall’accusa. E questo perché la tesi della difesa, secondo cui il giovane Me Eric Zapata si è limitato a fare copie a titolo personale , è stata abbracciata in toto dai giudici.
Secondo la Corte, in particolare, le major non hanno saputo dimostrare l’origine fraudolenta di quelle copie. Inoltre quelle copie, ai sensi delle normative europee sul diritto d’autore, non possono essere considerate vietate visto che l’utente, acquistando un PC e supporti di masterizzazione, aveva già pagato i compensi per la copia privata .
“Visto che – hanno scritto i magistrati – l’autore non può impedire le copie o la riproduzione di un’opera se avvengono per l’uso privato dell’utente e non sono destinate ad un utilizzo collettivo (…); visto che l’utente ha dichiarato di aver effettuato le copie solo per uso privato e che non è stato dimostrato un uso pubblico (…); che tutt?alpiù l’utente ha ammesso di aver guardato alcune di quelle copie con uno o due amici (…); dato che da questi fatti non si può dedurre che l’uso sia stato diverso dalla copia personale” il giudizio è favorevole all?imputato.
La decisione della Corte di Montpellier potrebbe evidentemente avere ripercussioni importanti sull’utenza europea, perché crea giurisprudenza attorno a quella “clausola” della EUDC (la direttiva europea sul diritto d’autore) secondo cui a fronte di una “compensazione equa” e di un “uso personale” che non abbia risvolti commerciali allora si può parlare di eccezione nell’ambito del diritto d’autore.
Perché la sentenza acquisisca un peso decisivo in Francia e in Europa occorrerà attendere però la Cassazione: da quel giudizio dipenderà la possibilità di stabilire un precedente che renderebbe più difficile la messa in mora di molti utenti.
Di tutt’altro tono, invece, quanto sta accadendo in Svezia , dove nelle scorse ore il più importante provider del paese è stato oggetto di un blitz della polizia intenzionata a colpire attività di pirateria svolte sul suo network. Di seguito tutti i dettagli.
Non se lo aspettavano certo quelli di Bahnhof Internet , il più importante nonché il primo provider svedese: nei giorni scorsi sono stati oggetto di un clamoroso blitz delle forze dell’ordine del proprio paese che agivano in merito ad una denuncia presentata dalle major di Hollywood .
Il blitz è stata una sorpresa in quanto sono anni che nell’industria americana si prende di mira Bahnhof ma è la prima volta che le major sono riuscite a “smuovere” le autorità locali e convincerle a condurre una perquisizione a tutto campo sui server e negli uffici dell’azienda. Risultato dell’operazione, secondo quanto riferito alla Reuters da uno dei più alti funzionari della MPAA , l’associazione che riunisce gli studios americani, è stato il sequestro di grandi quantità di materiali. “Si è trattato – ha dichiarato John Malcolm – di una grossa operazione. Il materiale sequestrato non solo conteneva prove di un’organizzazione pirata che opera in Svezia ma anche di organizzazioni di pirati che operano in tutta Europa”.
Quattro i server sequestrati a Bahnhof, sui quali si troverebbero la bellezza di 23 terabyte di dati. Si tratta di 450mila file musicali, 1800 film nonché 5mila pacchetti software: tutti materiali che secondo gli studios erano di fatto messi a disposizione degli utenti che ne conoscevano l’accesso.
Tutto questo avveniva mentre nel Regno Unito l’industria fonografica riunita nella British Phonographic Industry (BPI) vinceva in tribunale ottenendo che sei provider britannici consegnassero alle major i nomi di 31 utenti del peer-to-peer. Si tratta di persone che secondo BPI sono coinvolte nella condivisione di “grandi quantità di file musicali”.
A tutti loro BPI offrirà di scendere a patti, firmare un accordo extragiudiziale , pagare una somma forfettaria ed evitare il procedimento. Questa è la via peraltro fin qui seguita anche dalle major negli Stati Uniti, tanto che su circa 10mila denunce della RIAA un procedimento vero e proprio contro un utente deve ancora svolgersi. Un processo che gli utenti tendono comprensibilmente ad evitare, visti gli alti costi che rappresenta. Nei giorni scorsi alcuni utenti inglesi hanno accettato di pagare BPI pur di evitare il tribunale.
Da segnalare che proprio in questi giorni prende corpo ancora in UK l’ Operazione Tracker voluta da FAST (Federation Against Software Theft) per colpire chi condivide software attraverso il peer-to-peer e tentare di rintracciare i primi uploader , ossia coloro che per primi mettono certi programmi in rete illegalmente.
In una nota, FAST afferma che i propri sistemi di rilevazione, dei quali si è ben guardata dal raccontare le specifiche tecniche, consentiranno di seguire le orme della diffusione di software sul peer-to-peer e di rilevare le prove necessarie a trascinare in tribunale il singolo o l’azienda sui cui computer si svolgessero queste attività. Va detto che FAST rivolge la propria attenzione proprio al mondo business, dove le softwarehouse ritengono di perdere ogni anno somme cospicue a causa dell’impiego di software pirata in luogo di quello acquistato legalmente.
“Vorremmo – ha spiegato uno dei funzionari di FAST – che i datori di lavoro ci pensino bene prima di scaricare copie di software che non hanno pagato (…) Questo è furto e sarà trattato di conseguenza”.