Sono stati sufficienti meno di tre mesi perché l’Australia si dotasse di strumenti antipirateria che agiscano sui siti: a dissuadere i cittadini della Rete dall’abitudine al P2P pensano i fornitori di connettività, costretti nei mesi scorsi a dotarsi di un codice di autorgeolamentazione ; a soffocare l’attività dei siti stranieri giudicati responsabili della violazione penseranno ancora gli ISP, che dovranno filtrare su ordine dei tribunali.
Il Copyright Amendment (Online Infringement) Bill, legge giustificata dai ricorrenti dati sulla crisi del mercato dell’intrattenimento, proposta nel mese di marzo e ora approvata dal Senato australiano, consente ai detentori dei diritti di rivolgersi al tribunale per chiedere l’emissione di un’ingiunzione che ordini il blocco degli accessi di siti definiti “online location” che risiedano fuori dall’Australia. Il tribunale dovrà valutare se gli operatori dei servizi “rendano disponibile o contengano” materiale non autorizzato dai detentori dei diritti, anche organizzandolo, indicizzandolo o facilitandone l’accesso: qualora venga rilevata la violazione, imporrà al fornitore di connettitità di “adottare adeguate misure” per impedire agli utenti di raggiungerlo.
La legge, che formalizza in sostanza quello che in Italia avviene già da tempo con le inibizioni disposte dall’autorità giudiziaria, e che sopprime definitivamente la speranza degli ISP australiani di agire da semplici intermediari, è stata criticata dai suoi oppositori per la sua vaghezza.
Nel testo non si specifica chi debba sostenere i costi dei blocchi , se debbano ricadere in capo ai detentori dei diritti o vengano scaricati sugli esecutori, i fornitori di connettività.
Non si fissa poi alcun paletto rispetto alle tecnologie da dispiegare per le inibizioni degli accessi, né si tiene conto della loro efficacia . Al coro delle voci che segnalano come i filtri siano facilmente scavalcabili anche dagli utenti meno esperti si unisce quella del cofondatore di The Pirate Bay Peter Sunde, che prende ad esempio proprio la deriva della Baia dei Pirati: i sequestri ordinati dalle autorità di mezzo mondo non hanno saputo affondarla. Tanto più che la legge si mostra indecisa anche rispetto alle tecnologie VPN : nel testo non sono ospitate le esplicite garanzie promesse ai cittadini della Rete australiani, e nessuno si assume la responsabilità di accennare al fatto che l’inefficace repressione dei siti sarà supportata dall’inefficace repressione delle tecnologie per aggirare i filtri.
Oltre al dibattito riguardo all’inefficacia della soluzione australiana, le polemiche si addensano rispetto ai pericoli che un sistema di inibizioni rappresenta per la libertà di esprimersi ed informarsi online : l’Australia ha già fallito nel confrontarsi con filtri e liste nere destinati a estromettere dalla Rete i contenuti illegali, tra falsi positivi e abusi . Se le autorità non temono di tornare ad incappare nei loro errori, programmando per il 2017 un’analisi rispetto ai risultati conseguiti, i cittadini della Rete si sono già adoperati per tenere traccia di inibizioni amministrate con troppa leggerezza.
Gaia Bottà