Ce l’ha insegnato la Clinton o meglio il caso che l’ha coinvolta nelle ultime elezioni presidenziali USA: un passo falso sulla gestione della corrispondenza può mettere a repentaglio la sicurezza nazionale esponendo a gravi pericoli. Le accuse volte agli hacker russi di aver condizionato le presidenziali, rubando email alla segretaria del partito Democratico, al suo staff e ad altri membri del Consiglio, con tanto di intervento dell’ FBI a sostegno della tesi, hanno prodotto solo smentite da parte del Cremlino e della sua intelligence sospettata di celarsi dietro ai numerosi atti di sabotaggio.
Ma non ci sono solo le comunicazioni trafugate. Durante le stesse elezioni sono stati appurati anche alcuni casi di manomissione elettronica dei seggi elettorali o quanto meno tentativi di intromissione . Delle elezioni sotto scacco verrebbe da dire, al quale si aggiunge un’eccessiva leggerezza nella protezione dei dati anche di personaggi di spicco della politica, che invece dovrebbero farsi garanti della sicurezza. Ha fatto molto discutere in merito l’ostentazione dell’attuale presidente in carica Donald Trump nell’utilizzo del suo smartphone personale (un Samsung Galaxy) anziché un cellulare “blindato” e protetto dalla Difesa americana.
Oggi si riaccende la discussione su questi temi, dopo che Trump ha ufficializzato di aver licenziato il direttore dell’FBI James Comey (sostituito da Andrew McAbe), accompagnando la decisione con queste parole: “L’FBI è una delle istituzioni più apprezzate e rispettate della nostra nazione e la giornata di oggi rappresenta un nuovo inizio per il nostro fiore all’occhiello nell’applicazione della legge”. Il motivo della sua uscita è dettato dal modo in cui è stato chiuso proprio lo scandalo che ha riguardato Hilary Clinton , ovvero con il riconoscimento alla segretaria di una sua sostanziale innocenza per mancanza di volontà di violare la legge (nonostante l’utilizzo per la corrispondenza di account gestiti su un server privato e quindi negligenza in termini di protezione dei dati).
La scelta di Trump di destituire una carica come il direttore dell’FBI è stata duramente criticata da Anthony Romero, direttore esecutivo dell’Unione americana delle libertà civili , che ha dichiarato che “l’indipendenza del direttore dell’FBI deve assicurare che il presidente non agisca oltre la legge. Per il presidente Trump licenziare l’uomo responsabile dell’indagine sui legami della propria campagna con i russi, minaccia questo principio fondamentale”. Ricordiamo infatti che gli interventi degli hacker russi potrebbero di fatto aver favorito Trump in termini di voti. E questo tema, secondo altri , potrebbe essere un ulteriore motivo della destituzione di Comey: evitare indagini comprovanti un intervento russo pro Trump.
Si tratta di un’interferenza politica ai danni dell’FBI aspramente criticata anche da Edward Snowden che in alcuni tweet ha affermato la sua contrarietà all’accaduto riassumendola così: “ogni americano dovrebbe condannare una tale interferenza politica nel lavoro dell’FBI”. In modo provocatorio WikiLeaks ha proposto tra l’altro di assumere Comey.
La EFF , Electronic Frontier Foundation (organizzazione non profit a difesa delle libertà civili nel mondo digitale), pur non condividendo molte scelte dell’ex direttore dell’FBI (in particolare sull’ingerenza in termini di controllo della vita privata dei cittadini) si dice “profondamente preoccupata per la destituzione del Direttore Comey e per quanto riguarda l’indipendenza dell’ufficio e la sua capacità di condurre indagini imparziali, anche in minacce alla nostra sicurezza digitale e all’integrità delle nostre elezioni”.
Che l’operato di Comey fosse poco gradito a Trump era comunque già stato più volte palesato in alcuni interventi pubblici e lettere specialmente dopo che l’ex direttore a luglio aveva difeso la Clinton in una maniera ritenuta inopportuna.
Il tutto avviene mentre nel Regno Unito si freme per l’elezione del nuovo presidente (manca meno di un mese) in un’aria turbolenta, in cui aleggia la minaccia delle fake news ma soprattutto mentre in Francia, dopo l’esultanza per la vittoria del nuovo presidente, si indaga su quello che è stato definito Macron Leaks : l’ennesimo caso di email trafugate e pubblicate online da parte di hacker russi (secondo Trend Micro e altre società di sicurezza) ai danni di un politico in occasione delle votazioni.
Come confermato da “En Marche” di cui Macron è segretario: “il movimento è stato vittima di un attacco hacker massivo”. “I documenti che stanno circolando sono stati ottenuti in un attacco hacker avvenuto alcune settimane fa ai danni di caselle di posta privata e professionale di più persone”. Si tratta di documenti di svariato genere, da discussioni di budget a contratti d’affitto, appalti ecc.
L’organo di vigilanza francese sul corretto andamento delle elezioni, ha prontamente chiesto alla stampa di non diffondere i contenuti trafugati . Ma a poco è servito l’invito visto che alcuni “indipendenti” hanno replicato i messaggi su Twitter e altri social network mediante l’utilizzo di bot istruiti a tal proposito. Nonostante gli esperti confermino che il furto di documenti in questo caso non avrebbe avuto alcun potere di modificare l’opinione dei francesi che si accingevano ormai a votare, rimanere aperto il quesito sul tema della sicurezza e votazioni. Possiamo permetterci che ogni votazione sia accompagnata da una bagarre simile? E cosa accadrebbe se i casi sporadici divenissero sistematici e sapientemente pilotati da hacker al servizio dei “più forti”? La cyber-politica non è poi così lontana.
Mirko Zago