Roma – Una Società di rilevazione ed osservatorio sulle tendenze Internet di Seattle, la N2H2, ha notato che negli ultimi 5 anni il numero delle pagine a contenuto pornografico che un navigatore può trovare su Internet è salito a quota 260 milioni, registrando un incremento del 1.800 per cento. Secondo quanto risulta dallo studio condotto dalla N2H2, una ricerca condotta su Google con la parola chiave “porn” consente di individuare più di 80 milioni di pagine per adulti .
La pornografia, sviluppatasi attraverso canali tradizionali quali riviste cartacee, cinema e videoregistrazione – è esplosa a dismisura attraverso le reti telematiche, dando vita ad un vero e proprio business su larga scala, difficilmente controllabile. Ma quali sono i limiti all’utilizzo di immagini pornografiche in rete? Come e quando questo business rischia di trasformarsi in illecito penale ?
Per rispondere a questa scomoda domanda occorre, innanzitutto, inquadrare giuridicamente la fattispecie in discussione, individuando la rilevanza penale dei concetti di “pornografico” e “pornografia”, per passare poi ad analizzare le modalità di utilizzazione delle immagini pornografiche, al fine di individuare i limiti alla loro diffusione in rete.
Il nostro ordinamento giuridico non definisce i termini “pornografico” e “pornografia”. Nemmeno con l’introduzione, da parte della legge n.269 del 1998, dell’art. 600-ter del codice penale, (intitolato “pornografia minorile”) né tantomeno con la recentissima revisione dell’articolo 600 ter e delle altre fattispecie in materia di pornografia minorile prevista dal Ddl dell’11 novembre 2003, si è ritenuto opportuno fornire una definizione di tale concetto. Ciò per l’estrema difficoltà, da parte del nostro legislatore, di fornire una definizione di “pornografia” che prescinda dai contesti in cui si siano tenuti i comportamenti nel caso concreto. Per valutare l’antigiuridicità ed i confini di liceità dell’immissione e della diffusione di immagini pornografiche in rete è necessario pertanto tradurre il termine pornografia con il termine oscenità e fare riferimento ai tradizionali parametri del nostro diritto positivo: i concetti di “osceno” e di ” offesa al pudore”, che si rinvengono negli artt. 528, 529 e 725 del Codice Penale.
L’art. 528 c.p. punisce, come delitto, la produzione, lo scambio, la detenzione e la messa in circolazione, “allo scopo di farne commercio, o distribuzione, ovvero di esporli pubblicamente”, di “scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni”, mentre l’art. 725 c.p. punisce, come contravvenzione, l’esposizione al pubblico, l’offerta in vendita e la distribuzione di “scritti, disegni o qualsiasi oggetto figurato, che offenda la pubblica decenza”. L’art. 529 c.p. precisa, al primo comma, che “agli effetti della legge penale, si considerano “osceni” gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, “offendono il pudore” , ed, al secondo comma, che “non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto”.
Occorre dunque prendere le mosse dalla comprensione, in termini giuridici, del concetto di oscenità, che l’art. 529 c.p. definisce come “offesa al pudore “, da intendersi, quest’ultimo, “secondo il comune sentimento”. Ed è dunque proprio il concetto di pudore la chiave di lettura della rilevanza penale della circolazione di immagini pornografiche in rete: un concetto elastico che, al di là delle definizioni (ai nostri fini può essere propriamente definito come “quel sentimento che induce alla riservatezza in tutto ciò che attiene alle manifestazioni della vita sessuale”) è stato costruito dal legislatore in modo tale da consentire l’adeguamento della norma che lo contiene all’evoluzione della morale comune, e che è destinato ad allargare col tempo i propri confini. E proprio in questo senso va inteso l’inciso “secondo il comune sentimento”, di cui all’art. 529 del c.p., che relativizza il concetto di pudore, inquadrandolo non come bene individuale, ma come un collettivo protetto con riferimento ad un determinato momento storico ed ambiente sociale ( “il pudore, pur costituendo un bene individuale, è protetto dal legislatore in quanto comune ai singoli e, quindi, come bene della collettività” , così Tribunale di Torre Annunziata, sentenza del 30 ottobre 2000).
Inquadrato giuridicamente il concetto di “osceno” (e quindi, ai nostri fini, il concetto di “pornografico”), da intendersi come tutto ciò che offende il comune senso del pudore, bisogna analizzare le modalità di utilizzazione delle immagini pornografiche , per individuare i limiti alla loro circolazione e distribuzione in rete.
A tal fine, bisognerà concentrarsi sulla destinazione e sull’esposizione al pubblico delle immagini pornografiche. Da un’attenta lettura dell’art.528 c.p. si deduce come non esista un aprioristico divieto di creazione, acquisto, detenzione o messa in circolazione di immagini oscene: in base all’originaria costruzione della norma in questione, tali attività saranno vietate e punite soltanto qualora, destinate ad una libera esposizione al pubblico, al commercio o alla distribuzione, siano svolte con ostentazione in danno dei terzi non interessati o non consenzienti o dei minori degli anni diciotto.
Il divieto normativo di cui all’art. 528 c.p. va difatti letto alla luce dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in materia, sollecitata dall’introduzione della legge 17 luglio 1975 n.355, che, esentando da responsabilità gli edicolanti che vendono le pubblicazioni oscene, ha svuotato di significato il divieto generale di commercio (e, indirettamente, anche il divieto di “produzione per il commercio”) di materiale pornografico, riconoscendo in tal modo la liceità di un’attività di commercio e di distribuzione di immagini oscene.
Così la giurisprudenza penale , movendo dalla diffusione del fenomeno della pornografia e dall’evoluzione del comune senso del pudore, si è progressivamente orientata verso il riconoscimento di una non punibilità dell’attività di produzione e messa in circolazione di immagini oscene, qualora questa sia svolta nel rispetto dei terzi non interessati o non consenzienti e dei minori.
Tale interpretazione è stata poi autorevolmente confermata dalla Corte Costituzionale che, con sentenza del 27 giugno 1992, n. 368, ha confermato la correttezza di una lettura restrittiva dell’art.528 c.p., che ne escluda l’applicabilità ai casi di detenzione e distribuzione non genericamente “pubblica ed al pubblico”, ma svolta in forma “riservata, e solo a chi ne faccia specifica richiesta” .
Più in particolare, la Corte Costituzionale, ha precisato che “la contrarietà al sentimento del pudore non dipende dall’oscenità di atti o di oggetti in sè considerata, ma dall’offesa che può derivarne al pudore sessuale, considerato il contesto e le modalità in cui quegli atti e quegli oggetti sono compiuti o esposti: sicchè non può riconoscersi tale capacità offensiva ad atti o ad oggetti che, pur avendo in sè un significato osceno, si esauriscono nella sfera privata e non costituiscono oggetto di comunicazione verso un numero indeterminato di persone ovvero sono destinati a raggiungere gli altri soggetti con modalità e cautele particolari, tali da assicurare la necessaria riservatezza e da prevenire ragionevolmente il pericolo di offesa al sentimento del pudore dei terzi non consenzienti o della collettività in generale. (.) La misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità offensiva di questo verso gli altri, considerata in relazione alle modalità di espressione ed alle circostanze in cui l’osceno è manifestato. E tale capacità (.) non può certo riscontrarsi nelle ipotesi in cui l’accesso alle immagini o alle rappresentazioni pornografiche non sia indiscriminatamente aperto al pubblico, ma sia riservato soltanto alle persone adulte che ne facciano richiesta.”
Su queste posizioni si è allineata qualche anno più tardi la Corte di Cassazione penale osservando che “in materia di detenzione a scopo di diffusione di materiale osceno, la illiceità penale della condotta è da configurarsi esclusivamente nelle ipotesi in cui attraverso la stessa sia posto in pericolo il sentimento del pudore di terzi non consenzienti, o che tale consenso non possano validamente manifestare, o della collettività in generale; conseguentemente va esclusa qualora l’accesso alle immagini o rappresentazioni pornografiche non sia indiscriminatamente aperto al pubblico ma venga riservato alle persone adulte che ne facciano richiesta” (così Cassazione penale, sez. III, 5 maggio 1995).
Ancora sul punto, la Corte di Cassazione penale, in tema di spettacoli osceni, ha statuito che “la capacità offensiva dell’osceno è condizionata dal contesto ambientale in cui è presentato; conseguentemente lo spettacolo osceno che si svolga con particolari modalità di riservatezza e di cautela in presenza di sole persone adulte non integra il reato in questione, ove il giudice di merito accerti, in relazione a dette modalità, che il comune senso del pudore non risulti offeso” (Cassazione Penale, Sez. 3, 10 gennaio 1998 n. 135), e, con riguardo al commercio di materiale pornografico, che “il commercio dell’osceno, se realizzato con particolari modalità di riservatezza e di cautela, idonee a prevenire la lesione reale o potenziale del pubblico pudore, non integra l’ipotesi di cui all’art. 528 cod. pen.” (Cassazione Penale, Sez. 3, 12 febbraio 1999, n. 1749).
Come dire, il materiale pornografico può liberamente circolare senza restrizioni nelle aree “riservate” della Rete , purchè, ovviamente, non abbia ad oggetto i minori degli anni diciotto e purchè ne sia impedito l’accesso ai minori.
Per quanto riguarda le aree “pubbliche” della Rete, l’offerta di immagini pornografiche potrà senza dubbio considerarsi lecita qualora si adottino le seguenti cautele :
1) le immagini pornografiche non dovranno avere ad oggetto i minori degli anni diciotto;
2) le immagini pornografiche dovranno essere destinate ai soli adulti (e solo dopo il loro consapevole e volontario accesso al sito);
3) l’offerta di immagini pornografiche dovrà avvenire in siti chiaramente riconoscibili dai terzi come offerenti tale prodotto, senza offrire in previsione immagini palesemente oscene o pornografiche.
Difatti, l’offerta indiscriminata di immagini pornografiche, anche in siti che non trattano tale materiale, rese immediatamente visibili a chiunque si colleghi al sito, senza preavvisare l’utente del contenuto pornografico delle stesse, è da considerarsi illecita, ledendo la libertà di scelta di ciascun utente internet, e, soprattutto, consentendo l’accesso da parte di chiunque – e quindi anche da parte dei minori – a tali immagini.
Naturalmente tutto cambia quando le immagini pornografiche abbiano ad oggetto minori, ma la tematica delle immagini pedopornografiche, che integra in diverse forme ipotesi criminose molto gravi, esula dalla presente trattazione.
Avv. Giancarlo Barbon
Studio Legale Sarzana & Partners
Lidis.it