Cos’è un click? Per banale che possa essere questa domanda, non basterà mai un semplice articolo ad esplicarla appieno. Perché in questo gesto, tanto rapido e semplice, tanto disinteressato e piccolo, c’è invece il significato vero e profondo del nostro stare online. Nel click si può identificare forse proprio quel momento, infinitesimale, nel quale le nostre due dimensioni (reale e digitale) si sfiorano, fino a toccarsi. Forse non è un caso se il click fa sempre rumore: in quel “click” sentiamo il contatto, percepiamo la trasformazione.
Il click trasfigura. Il click trasforma.
Tutto il mondo che c’è in un click
Il verbo si è fatto carne e viceversa. Il click, infatti, trasforma qualcosa di profondamente umano (i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre pulsioni) in qualcosa di digitale o quantomeno afferente ad una dimensione diversa. Il click trasforma pensieri e sensazioni in bit, consentendone una traduzione istantanea che le porta nel mondo parallelo che si cela dietro allo schermo. Poi torneranno in vita attraverso algoritmi e pixel, ma il click è monodirezionale: dal fuori al dentro, dall’uomo alla macchina.
Il click è linguaggio, quindi: è ordine, è un indice puntato. Il click è direzione, è istruzione, è uno sguardo che ha origine nell’anima e mirino su una destinazione. Il click è convenzione, elemento di passaggio, è la parola che passa il confine per poi fuggire. Dopodiché attendiamo che torni trasformata in altra parola, o in immagine, o in qualcosa di inatteso, ma in ogni caso travestito da nuovo significato.
Il click è moto all’azione. Non è mai inerte, ma scatena qualcosa, muta la situazione, avvia un viaggio verso nuove destinazioni, apre orizzonti. Un click non è però qualcosa che possa vivere senza una mente che lo scatena: il click è proiezione, è conseguenza di una motivazione; è un obiettivo da raggiungere, una meta preposta, un desiderio. Il click è il centro di questo percorso di trasformazione tra quel che era e quel che sarà. Come l’uomo chiami questo percorso, dipende dai principi a cui si ispira; come l’utente chiami questa strada, dipende dall’approccio che terrà.
Preghiera, speranza e attivismo digitale
Se il click è l’assunto entro cui si racchiude l’ambizione di cambiare una situazione, presumibilmente per migliorarla, o quantomeno per perseguire un obiettivo, allora il click altro non è se non icona estrema tanto della preghiera, quanto dell’attivismo: che ci si appelli al sacro o che si si accontenti del pagano, insomma, l’icona è sempre e comunque espressione di una speranza di cambiamento.
Fa quantomeno riflettere il fatto che nelle stesse ore preghiera e attivismo abbiano fatto ascoltare la propria voce in contemporanea tramite Papa Francesco e Mark Zuckerberg. Nelle stesse ore, in due punti lontani del mondo, per due iniziative dal paradossale parallelismo.
Click to Pray
Il Papa ha giocato con l’app Click to Pray (iOS e Android), una community online immaginata per raccogliere le speranze dei fedeli e rilanciarle tramite notifica. L’app – in realtà attiva da anni sotto altra forma e in altra dimensione, ma ora elevata a strumento di maggior promozione nei consessi della Fede – trasforma il click nell’espressione di una preghiera al fine di condividerla: per pregare assieme, per unirsi sotto una buona motivazione, per trovare nella comunione un punto di ascolto comune e un grido collettivo.
Click To Pray è la piattaforma della Rete Mondiale di Preghiera del Papa. Ti connette e ti guida insieme a migliaia di persone che, in tutti i continenti, pregano per le sfide dell’umanità e la missione della Chiesa
Community Action
Mark Zuckerberg ha annunciato una novità per il news feed di Facebook: Community Action è la preghiera pagana di utenti che, colti dal sacro fuoco dell’attivismo, portano online le proprie battaglie per cercare engagement e condivisione tra i propri contatti. Nella viralità si cerca coesione, così che tante voci possano diventare un solo grido collettivo e dall’alto qualcuno possa ascoltare ed agire.
Costruire comunità informate e impegnate è al centro della missione di Facebook. Ogni giorno, le persone si trovano assieme per perseguire cause a cui tengono, contattando i propri rappresentanti politici, lanciando raccolte fondi o dando vita a gruppi. Community Action è un altro modo per le persone per ambire al cambiamento nelle proprie comunità.
Illusione, pulsione positiva
Entrambe le iniziative si basano sull’illusione per cui basti un click per arrivare ad una qualche conseguenza. La speranza affidata al click è però un buco nero che illude, fagocita e non restituisce risultati. E su questo occorre essere chiari. E sebbene la preghiera possa essere per molti qualcosa di arcaico ed inutile (e non siam qui per contrapporre una visione religiosa con una atea), in realtà è il click di Menlo Park la dimensione che meno può avvicinarsi ad un risultato. Quando si clicca nella convinzione di poter cambiare le cose, infatti, altro non si fa se non delegare alla sorte del dopo-click l’esito delle proprie azioni: si gettano le proprie speranze in un display, spesso dimenticandosene, ma autoassolvendosi per la pillola di attivismo digitale dimostrata pubblicamente. La preghiera ha quantomeno un aspetto intimistico in più, una pulsione che va oltre il “click” poiché condita di impegno personale: la preghiera non è – o non dovrebbe essere – mai fine a se stessa, ma è in sé moto all’azione che deve spingere il fedele – l’utente – ad azioni concrete.
Non sarà mai solo un click – e nemmeno una semplice preghiera – a cambiare le cose e questo, dopo anni di para-attivismo digitale, di avatar colorati e di je-suis-qualcosa, dovremmo averlo imparato. Per estremizzare: meglio pregare che non seguire futili “clicca qui”, insomma, purché in sé sia vivo quel baccello di speranza senza il quale è inutile pregare ed è inutile predicare attivismo. La priorità del “perché” sul “come”, insomma, ancora una volta manifestatasi in tutta la sua forza.
Clicca, prega, spera
Mentre Papa Francesco esplora il terreno delle app, e mentre Mark Zuckerberg confessa quotidianamente i peccati dei propri utenti nella piazza pubblica di Facebook o dietro la grata di WhatsApp, miliardi di persone si svegliano ogni mattina con in cuore una preghiera o una causa da perseguire. Che ci si provi con un click, o che ci si provi alzando gli occhi al cielo, tutto sommato poco importa: l’importante è tener viva la speranza, e perseguirla per tutta la giornata, perché le cose si trasformano ed il “come” dipende più dalle persone che non dagli strumenti.
Che la benedizione di Papa Francesco e di Mark Zuckerberg scenda su tutti noi, quindi. O quantomeno su chi di noi anche questa mattina si è svegliato con una speranza e non è persuaso di poterla assolvere condividendo semplicemente un meme, una vignetta, un post, un tweet.