Microsoft non è sola nel condurre la propria battaglia per contenere le richieste di accesso ai dati emesse dalle autorità statunitensi per accedere a dati riposti su server localizzati oltreconfine. L’Irlanda, sede dei data center che ospitano le informazioni che gli States vorrebbero spulciare per portare avanti un’indagine su un caso di traffico di droga, ha invocato l’intervento dell’Unione Europea nel contenzioso in cui Redmond sta strenuamente combattendo.
Microsoft da mesi è impegnata a sostenere che il mandato con cui le autorità statunitensi la sollecitano a consegnare dei dati che risiedono su server localizzati in Irlanda non sia valido: in un periodo in cui il tecnocontrollo statunitense sta emergendo in tutta la propria pervasività, la posizione di Redmond nel far valere i confini giurisdizionali nella globalità connessa era stata supportata da associazioni che si battono a tutela dei netizen e da colossi della tecnologia, da ultime le aziende associate in Digital Europe, che nei giorni scorsi hanno preso posizione sollecitando l’Unione Europea ad agire a favore di una regolamentazione che investa il cloud computing in maniera chiara e rispettosa della privacy dei cittadini.
L’Irlanda, che ospita i server su cui risiedono i dati gestiti da Microsoft e ambiti dalle autorità statunitensi, si è allo stesso modo rivolta all’Europa: il ministro che presiede agli Affari Europei e alla Privacy, Dara Murphy, ha scritto alla Commissione Europea per invocare un intervento che sappia fare luce sul quadro legislativo, così da contribuire a dirimere un caso “i cui risultati potrebbero avere delle serie implicazioni per la tutela dei dati nella UE”.
Il ministro irlandese spiega che la richiesta di accesso ai dati conservati su server localizzati in Europa, che le autorità statunitensi tentano di ottenere tramite un semplice mandato, si accompagna al rischio che “i meccanismi legali esistenti e codificati negli accordi sulla mutua assistenza giudiziaria vengano aggirati in maniera efficace”. Per questo motivo l’Europa dovrebbe pronunciarsi nel contesto del caso Microsoft, per delineare i confini degli accordi in vigore , per assicurare che, anche in un mondo di tecnologie che evolvono rapidamente, “il diritto alla privacy sia pienamente tutelato e che nel contempo si garantiscano alle autorità le procedure necessarie per combattere il crimine in maniera efficace”.
Gaia Bottà