Nella settimana in cui cadono il Giorno della Privacy dei Dati e il Giorno europeo della Protezione dei Dati si svolgeranno una serie di incontri che cercheranno di portare l’attenzione sulle problematiche relative alla privacy delle informazioni che, volontariamente o meno, i netizen quotidianamente mettono a repentaglio online.
“Molti cittadini vedono solo i vantaggi della vita online senza accorgersi di quante informazioni sono raccolte, di chi le raccoglie e di come vengono usate”, ha detto Richard Purcell, executive director di The Privacy Project , una delle associazioni coinvolte nelle iniziative e alla ricerca di una possibile soluzione alla problematica: da un lato si tratta di gestire le informazioni che volenti o nolenti le grandi aziende si trovano a gestire (Google con la sua quota maggioritaria nella ricerca e nell’advertising su tutti), dall’altro l’ incoscienza degli utenti che divulgano volontariamente dati sensibili senza comprensione dei possibili utilizzi e conseguenze.
Per questo parte delle iniziative saranno destinate alla sensibilizzazione dei netizen . Proprio di questo si occupa un’altra associazione, la Future of Privacy Forum e una coalizione di aziende (di cui fanno parte molte delle più importanti, da Microsoft a Google passando per Procter & Gamble e General Electric), che hanno inaugurato una forma di autoregolamentazione (quindi di per sé non obbligatoria). Si tratta di un’ icona standard (una “i” tendente alla chiocciola) che avrà il compito di rendere immediatamente identificabili le pubblicità online che usano dati demografici e statistiche per dire ai consumatori cosa sta succedendo, che le aziende sono consapevoli cioè di chi sta navigando e cosa cerca solitamente. Quando gli spazi pubblicitari se ne doteranno saranno inizialmente correlate della frase “perché ho ricevuto questa pubblicità?”, che se cliccato porterà ad una pagina esplicativa.
Google, da parte sua, ha pubblicato una pagina con i suoi nuovi principi per la privacy: mettendo semplicemente nero su bianco le pratiche finora adottate . Afferma di utilizzare le informazioni raccolte sugli utenti per migliorare il servizio offerto, ma dichiara altresì di offrire ai naviganti efficaci opzioni a difesa della loro privacy, esplicitando a chi fosse interessato le informazioni finora raccolte in nome della trasparenza.
L’argomento della privacy, e la conseguente sicurezza dei dati, è d’altronde di pressante attualità e su di esso si sta concentrando anche il Congresso degli Stati Uniti; mentre la FTC ha già chiesto per l’appunto una seria autoregolamentazione da parte dei protagonisti del settore dell’advertising online, pena un suo intervento entro breve.
Per gli organi di vigilanza il nocciolo della questione è la liceità o meno delle tecniche di analisi dei comportamenti degli utenti della Rete: la pratica, per esempio, di tracciare i clic dei netizen per ottenere una statistica di comportamento che permetta di personalizzare i servizi offerti. In pratica, per la gran parte, con il fine di specificare le pubblicità da veicolare al singolo consumatore che naviga. Tecniche che negli ultimi anni hanno portato vari ISP a sperimentare l’advertising basato sulle statistiche comportamentali, come quello fornito da NebuAD in collaborazione con alcuni provider statunitensi: tracciava i siti navigati dal singolo utente per poi snocciolare pubblicità basata sugli interessi mostrati.
Nel frattempo la storia di NebuAD si è momentaneamente conclusa con l’ uscita di scena della società, ma Charter, uno dei primi utilizzatori, e altri ISP, hanno cercato di giustificare alla FCT la pratica del tracciamento: contrapponendo alla questione della privacy la possibilità di offrire agli utenti prezzi più bassi.
Claudio Tamburrino