La protezione dei dati è una emergenza nazionale . Lo ha dichiarato ieri il presidente del Garante per la privacy Francesco Pizzetti nel corso della Relazione annuale sull’attività del suo ufficio. A suo dire “le forme indebite di ricorso all’uso di videocamere, videotelefonini e in generale, a tecniche ingannevoli per acquisire e trattare dati anche delicatissimi, sono cresciute a dismisura”.
Un fenomeno dai contorni pesantissimi. “Troppo spesso – ha sottolineato ieri – l’appropriazione illegittima dei dati e il loro utilizzo, legato a strategie sapienti di inquinamento della nostra società, rende meno giusta la giustizia, meno sicura la sicurezza, meno libera la democrazia, meno competitiva l’attività economica e finanziaria, meno credibile tutta la società. Questo sta avvelenando il paese. In Italia c’è una emergenza nella protezione dei dati che ha assunto una dimensione pari ad altre nostre emergenze nazionali, quali quella ambientale, quella energetica, quella infrastrutturale, che tanto negativamente incidono anche sull’immagine del paese”.
Riferendosi alle misure antiterrorismo e alle procedure di sicurezza che stanno proliferando nel paese a tutti i livelli, dalle normative all’hardware, Pizzetti ha ricordato che il ruolo del Garante “è tutelare e difendere il cittadino, i suoi diritti, la sua libertà, la sua necessità di vivere e di operare senza essere continuamente controllato e schedato”. E ha ribadito: “È certamente vero che non c’è libertà senza sicurezza, ma è ancora più vero che non c’è sicurezza che valga la perdita di ogni libertà. Ripetiamo che la protezione dei dati non è e non sarà mai antagonista al bisogno di sicurezza, ma riaffermiamo che essa è un elemento essenziale di un sistema democratico di tutele”.
“L’innovazione tecnologica – ha anche affermato Pizzetti – ci sfida ogni giorno. Il mondo dei computer e dei bit è completamente diverso da tutto quello che abbiamo imparato a padroneggiare grazie all’esperienza di tante generazioni. Le azioni, le parole e le immagini si trasformano in miriadi di dati, che moltiplicano all’infinito, come in un prisma, i diversi aspetti della realtà materiale”.
“Il cambiamento tecnologico – ha spiegato il Garante – fa vivere tutti noi in un mondo sempre più “scisso” tra una realtà materiale, nella quale le persone e le cose hanno una fisicità misurabile e definibile e intrecciano relazioni che producono informazioni, ma non si esauriscono in esse; e una realtà immateriale, quella della innovazione tecnologica e della rivoluzione telematica, nella quale le persone e le cose si trasformano in flussi e intrecciano relazioni che consistono unicamente in uno scambio di dati”.
“Ogni individualità – ha poi sottolineato – si disarticola e si scompone in tanti frammenti quanti sono i dati e le informazioni che la riguardano. Basta digitare il proprio nome su un motore di ricerca per rendersene conto. Sulla rete i dati vivono una vita propria, senza regole e senza possibilità di prevedere tutte le finalità e tutti i contesti in cui saranno utilizzati. Nella realtà immateriale si possono assumere nuove identità, inserire informazioni vere o false, comunicare con gli altri in modo circolare, diventare allo stesso tempo produttori e destinatari di notizie. Nel mondo della comunicazione globale, di YouTube e di Google, tutto cambia dimensione e impatto”.
Da qui il problema delle regole , per far sì che il cittadino possa sfruttare le potenzialità del mezzo ma sia anche consapevole di cosa significa. “Non possiamo accettare – ha anche sottolineato – che il mondo di internet sia visto dai nostri ragazzi come una sorta di paese dei balocchi , nel quale tutto è bello e possibile”. “Questa – ha sostenuto – è la nuova frontiera. Una frontiera difficile da difendere per almeno due ragioni. La prima, il continuo mutare delle tecnologie. La seconda, la dimensione globale che la caratterizza. Una dimensione che richiede regole condivise a scala planetaria e che obbliga a misurarsi con i limiti che le leggi nazionali ed europee incontrano”.
“Come applicare le regole dell’informazione al fenomeno dei blog , i siti autogestiti che ogni giorno si moltiplicano sulla rete? – ha continuato Pizzetti – Cosa significa diritto all’oblio, di fronte ai motori di ricerca che conservano e mettono a disposizione per un tempo tendenzialmente indeterminato dati e informazioni sulle persone? Cosa vale esercitare i propri diritti di fronte a dati che circolano sulla rete senza possibilità di ottenere che siano cancellati o rettificati se inesatti o lesivi della nostra dignità? Qual è la differenza tra uso personale e uso pubblico delle immagini nel mondo delle videocamere e dei videotelefonini che mandano in tempo reale in rete foto e filmati? Come garantire la tutela di una cartella clinica, di un dato sensibile relativo alla salute, trattati elettronicamente? Come aiutare i nostri cittadini a utilizzare queste innovazioni senza lasciarli indifesi di fronte a strumenti di cui non conoscono l’invasività e spesso l’assenza di limiti?”
Tra i punti cardine della Relazione anche il riferimento al database genetico . “Come è noto – ha insistito Pizzetti – tutto ciò che attiene all’utilizzo, trattamento e conservazione del DNA è motivo di grande preoccupazione, in ragione delle delicatissime informazioni, appartenenti non solo alla persona interessata ma a tutto il suo gruppo biologico, che si possono trarre da un dato genetico. Il Codice della privacy prevede una specifica autorizzazione – di recente adottata dal Garante – in ordine alla raccolta, trattamento e conservazione dei campioni di DNA soprattutto per fini scientifici o di ricerca. Nel settore della sicurezza e della giustizia manca, invece, una normativa che disciplini la materia”.
“La recente esperienza, compiuta nell’ambito di un’attività ispettiva presso il RIS di Parma – ha continuato Pizzetti – ci ha fatto toccare con mano l’esistenza di banche dati di campioni e di codici genetici, conservati da strutture con compiti investigativi e di polizia giudiziaria. Dobbiamo richiamare con forza l’attenzione del Parlamento sulla necessità di approvare al più presto una legge che dia un’idonea base normativa ad un fenomeno oggi incontrollato. Tutto ciò diventa ancora più urgente in vista dell’attuazione del Trattato di Prüm, che comporta comunque che ciascun Paese si doti di una propria banca dati genetica. Ovviamente l’Autorità chiede, sin d’ora, di essere attivamente coinvolta. Ribadiamo, infine, che occorre vigilare per evitare utilizzazioni indebite del DNA nell’ambito delle assicurazioni e dei rapporti di lavoro, così come inammissibili banalizzazioni nel ricorso al trattamento di questi dati”.
Proprio sulle banche dati, a margine della Relazione, il Garante ha sottolineato di non aver idea di quante siano le banche dati che operano a fini di giustizia e sicurezza : semplicemente non si sa. “Abbiamo un’idea ipotetica sul numero delle banche dati fornita dal CNIPA – ha spiegato Pizzetti – ma non abbiamo un elenco di quali e quante siano ufficialmente le banche dati a fini di giustizia e sicurezza nel Paese”. Il che, vista l’osservazione sul difficile rapporto tra libertà e sicurezza, diventa una questione centrale.
Un problema che potrà essere risolto? Pizzetti ha sottolineato che sono i ministri dell’Interno e della Giustizia che devono occuparsi del censimento dei database. “Questo elenco – ha specificato – è fondamentale per noi, perché una volta che ci sia possiamo svolgere un’attività ispettiva a campione, su base territoriale e per specifiche tipologie”.
L’intera relazione è disponibile sul sito del Garante, a questo indirizzo