Dal 15 maggio sono in vigore i nuovi termini d’uso del servizio che hanno innescato molte critiche (e richieste di blocco in alcuni paesi). In India le parti si sono invertite: WhatsApp ha infatti denunciato il governo perché una recente normativa impone il tracciamento dei messaggi.
WhatsApp contro il governo indiano
Intermediary Guidelines and Digital Media Ethics Code. Questo è il nome delle nuove regole, introdotte a febbraio e in vigore da oggi, che impongono alle aziende di fornire il nome dell’utente quando il governo indiano deve trovare la fonte originaria di un messaggio. WhatsApp ha presentato una denuncia presso il tribunale di New Delhi, in quanto il rispetto di tale obbligo significa tracciare tutti i messaggi inviati e violare il diritto alla privacy degli utenti.
Una pagina pubblicata dall’azienda californiana nelle FAQ evidenzia che la tracciabilità comporta la disattivazione della crittografia end-to-end perché non c’è nessun modo alternativo che permette di trovare il messaggio incriminato.
WhatsApp afferma che la richiesta del governo indiano equivale ad una sorveglianza di massa. Tra l’altro esiste un’elevata probabilità che venga accusato un utente innocente (o quantomeno finire sotto indagine) solo per aver inoltrato il messaggio. Un portavoce del governo indiano sostiene che si possa rintracciare un messaggio, senza disattivare la crittografia end-to-end. Probabilmente non ha capito come funziona la tecnologia.
WhatsApp sottolinea che rispetta il lavoro delle forze dell’ordine, ma fornisce risposte solo a richieste valide. In ogni caso tra le informazioni disponibili non ci sono i messaggi. Lo scontro tra l’azienda e il governo indiano è iniziato nel 2017, quando il servizio di messaggistica è stato utilizzato per diffondere false notizie sul presunto rapimento di un bambino da parte di un lavoratore (linciato da oltre 48 persone).