Bologna – E’ ripreso a muoversi il grande serpentone del processo Senna: ieri mattina alle 9.30, presso la prima sezione penale della Corte d’Appello, ha avuto luogo la prima udienza del nuovo procedimento di secondo grado. Come si ricorderà, a seguito delle sentenze assolutorie del Pretore Antonio Costanzo (dicembre 1997) e della terza sezione della Corte d’Appello (novembre 1999), il Procuratore Generale Rinaldo Rosini aveva impugnato quest’ultima decisione dinanzi alla Corte di Cassazione che, nel gennaio 2004, l’aveva annullata con rinvio ad altra sezione di secondo grado.
I punti che la Suprema Corte aveva segnalato come oscuri si rifacevano, ancora una volta, al ruolo ricoperto dal piantone dello sterzo nella causalità dell’evento e alle modifiche ad esso apportate, con specifico riferimento ad eventuali colpe e responsabilità per condotte omissive.
Questa mattina il Presidente della Corte, Lucio D’Orazi, ha subito dato la parola a Rosini che, ancora una volta nel ruolo della pubblica accusa, ha tenuto un’articolata requisitoria volta ad escludere altre possibili cause (come, ad esempio, un malore del pilota ante facto) e ad accertare le responsabilità colpose di chi, all’interno del team Williams F1, era portatore di un generale dovere di vigilanza sull’operato dei tecnici, specie in una modifica così delicata quale quella del piantone dello sterzo.
Ipotesi di colpa erano state già in primo grado ipotizzate a carico di Frank Williams (titolare), Patrick Head (direttore tecnico) e Adrian Newey (tecnico aerodinamico).
Caposaldo del castello accusatorio è stato, ancora una volta, la prova informatica realizzata dal centro interuniversitario CINECA che, tramite complessi studi sul filmato della camera car di Senna, aveva dimostrato l’asserita rottura del piantone modificato.
“Concludendo – ha detto il Procuratore Generale – è da considerare l’eccezionalità di questa operazione, che certo non è di routine, nonchè il ruolo ricoperto da Head all’interno della squadra. Egli, in qualità di direttore tecnico, è infatti certamente intervenuto su progettazione e ideazione del delicato intervento e proprio a lui è quindi ascrivibile una sorta di responsabilità omissiva e colpa in vigilando.
Nonostante il quadro gravemente indiziario che raggiunge la piena prova – prosegue Rosini – non si possono negare all’imputato le attenuanti generiche e si deve constatare che il reato risulta ormai prescritto. Motivi, questi, che fondano la richiesta della pubblica accusa di riformare la sentenza in luogo di non doversi procedere causa la prescrizione del reato di cui al capo d’imputazione”.
Ha aperto poi la fase di arringhe difensive il legale di Patrick Head, Oreste Dominioni, che ha sottolineato alla Corte l’importanza della ricostruzione virtuale dei fatti, realizzata da esperti americani per conto della difesa.
“Essa – precisa il professore – basandosi su un particolare software (Adams Mechanical Dynamics, ndr) permette di testare al computer il comportamento che una monoposto virtuale, rispondente in tutto per tutto a quella di Senna, avrebbe tenuto, su un tracciato virtuale identico per conformazione e caratteristiche a quello di Imola. Affrontando la prova molteplici volte è possibile rendersi conto di come, in quella determinata situazione (quindi ipotizzando un piantone dello sterzo “sano” e lievi dossi sull’asfalto), la monoposto virtuale si comporti proprio come l’auto di Senna. Anzi, aggiungendo un ulteriore dettaglio (rottura del piantone antecedente l’immissione nella curva del Tamburello) la reazione data dal programma è completamente diversa da quella tenuta dal pilota brasiliano. Questo risultato ha quindi dimostrato come l’incidente sia da attribuirsi unicamente all’imbardamento della vettura sui dossi della pista, situazione che ha gravemente danneggiato il piantone, poi definitivamete spezzatosi a seguito dello scontro”.
Dopo aver analizzato il comportamento del pilota e la sua reazione a seguito dell’incontrollabilità della macchina, Dominioni ha sottolineato la “grande bagarre nata tra gli stessi consulenti del pubblico ministero” e concluso chiedendo, “anche sulla base di questa prova scientifica della cui esattezza non si può dubitare” l’assoluzione del suo assistito perchè il fatto non sussiste e per mancanza del nesso di causalità.
E’ infine venuto il turno degli avvocati Causo, Lanzi e Stortoni che, dopo aver affermato che “non vi è alcuna prova che meriti accoglimento in un aula di giustizia che dimostri la rottura dello sterzo prima dell’uscita di pista”, hanno replicato le richieste assolutorie del loro collega anche per Adrian Newey, progettista che avrebbe avuto competenze solo quanto alla scocca dell’auto.
Particolare curiosità ha destato la dissertazione dottrinale dell’avvocato Stortoni che, richiamando principi giurisprudenziali (quali quello di affidamento, in virtù del quale si ha il diritto/dovere di fidarsi della competenza e bravura di un soggetto che svolge un altro compito), ha sottolineato alla Corte l’assoluta imposibilità di imputare qualsivoglia genere di comportamento omissivo al tecnico aerodinamico, anche in ragione della rilevata estraneità di quest’ultimo all’organigramma gestionale della Williams F1.
In conclusione di udienza il Procuratore Generale presso la Procura della Repubblica ha ribadito “la piena volontà di verificare se effettivamente qualche colpa vi sia stata e se qualcuno è portatore di tali responsabilità”.
L’ultima battuta arriva da Dominioni che, con una dura replica, ha rivolto al pubblico ministero severe accuse di negligenza e voluta trascuratezza della valida ricostruzione digitale messa a disposizione dai consulenti tecnici della difesa, “prova sempre sottovalutata nell’ambito di questo procedimento”.
Il Presidente D’Orazi ha così posto termine all’udienza, rinviando altre eventuali repliche al 27 maggio, giorno fissato per la prosecuzione della stessa. Ancora un mese bisognerà quindi attendere per arrivare alla verità, sempre che così la possa definire, questa volta con una nuova sentenza che metterà definitivamente il punto a questo lungo capitolo della storia dell’automobilismo mondiale.
L’impressione generale è comunque – a detta dei presenti – quella di una totale mancanza di interesse al procedimento, vuoi per la subito ipotizzata impunibilità dei soggetti eventualmente condannati (grazie alle già accennate attenuanti generiche, fatte valere sin dal primo grado) vuoi perchè l’unico interesse è sempre stato quello di far uscire nelle migliori condizioni possibili la scuderia Williams da questa imbarazzante “pozzanghera”.
Daniele Pizzi
Università di Milano
Nota
L’autore, laureando in Scienze Giuridiche con tesi sperimentale sulla prova informatica, collabora con il Prof. Avv. G. Ziccardi presso la Cattedra di Informatica Giuridica Avanzata dell’Università degli Studi di Milano.