I nuovi emendamenti approvati con la fiducia dalla Commissione Giustizia della Camera al Disegno di Legge di conversione del DL 83/15 rischiano di innescare un pericoloso passo indietro per il Processo Civile Telematico italiano.
Il Processo Civile Telematico è stato introdotto in Italia nel 2014 , con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale degli ultimi dettagli legali per l’attuazione del nuovo regime: in particolare è costituito dalla possibilità di accedere online al fascicolo processuale, di svolgere le attività di comunicazione telematica con gli uffici giudiziari e di effettuare il pagamento telematico del contributo unificato. Tuttavia burocrazia, arretratezza negli apparati e nelle competenze di alcune parti dell’avvocatura, della magistratura e degli operatori di cancelleria hanno finito per costituire un intralcio alla sua adozione, in particolare limitando la portata della possibilità di interagire in preparazione del processo solo in digitale e cercando di ottenere quantomeno una lenta gradualità prima del passaggio al PCT.
Come spiega per esempio Enrico Consolandi, magistrato responsabile informatico del Tribunale di Milano, “si spinge verso il processo civile telematico e al contempo non si dotano i tribunale delle infrastrutture e del personale necessario per una buona organizzazione. Adesso i magistrati hanno problemi a leggere su schermo tutto il procedimento; anche perché i software al momento sono limitati: per esempio non sono aggiornati per consentire la condivisione degli atti di un processo fallimentare”. Consolandi spiega anche che, paradossalmente, non sempre riescono neanche ad accedere agli atti “perché la firma digitale è scaduta e per aggiornarla la burocrazia richiede settimane”. Per adeguarsi ad una normativa che richiede uno swtich off immediato, insomma, in particolare gli amministrativi dei tribunali chiedono più fondi da investire nei software e l’assunzione di informatici.
La questione, ora, sembra giocarsi oltre che sul necessario adeguamento delle competenze, sulla copia cartacea degli atti del processo che, in forza dell’impiego di formati digitali, diventa per le parti coinvolte teoricamente solo una forma di cortesia, in quanto tale facoltativa. Per questo sarà importante l’interpretazione dell’ emendamento all’art. 19 del DL 83/2015 che interviene specifica che “il Ministro della Giustizia stabilisce misure organizzative per l’acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematica”.
Diversi rappresentanti dell’avvocatura temono che ciò significhi un sostanziale stop al processo di informatizzazione, con il conseguente onere aggiuntivo a carico degli avvocati che si ritroverebbero a dover depositare gli atti sia in formato digitale che in cartaceo .
Da parte sua il Ministero respinge tale interpretazione , spiegando che tale emendamento “non introduce in alcun modo un doppio binario telematico e cartaceo”, ma al contrario ha l’obiettivo di stabilire in maniera rigorosa ed uniforme i casi tassativi in cui è ammessa la copia di cortesia, “ponendo così fine alle prassi distorte di un eccessivo ricorso alla copia di cortesia”.
In attesa che i relativi regolamenti dettaglino la questione permettendo di capire le intenzioni del ministero, l’esperienza spinge gli avvocati a restare sulla difensiva.
D’altra parte, sembrava vanificare lo spirito e la sostanza della riforma del processo telematico già la sentenza con cui la Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano presieduta dal Giudice Simonetta Bruno aveva considerato un’aggravante che parte opponente avesse “depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d’Intesa tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli Avvocati di Milano il 26.06.2014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese”.
Per questo le paure di avvocati, osservatori e associazioni di categoria appaiono molto concrete: convinti che la digitalizzazione permetterebbe anche un notevole risparmio nei costi di gestione della giustizia e conseguentemente la possibilità di riallocare le risorse, temono che un passo indietro sia assolutamente dannoso, sia per i tempi che per i costi dei processi.
Il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini è chiaro a riguardo: “In una riforma che dovrebbe migliorare e velocizzare il funzionamento dell’amministrazione giudiziaria – spiega Pansini – incredibilmente si inserisce una norma a favore delle “scartoffie”, mentre il processo dovrebbe viaggiare sulla rete. Approvare la norma sarebbe una resa a chi, all’interno dell’avvocatura, della magistratura, degli operatori di cancelleria, ha opposto resistenze al PCT”.
Claudio Tamburrino