Il 4 luglio, Adnkronos , una delle più blasonate agenzie di stampa operanti nel nostro Paese pubblica una notizia il cui titolo gela la Rete: ” Internet, proposta Pdl: 12 anni di carcere per chi istiga alla violenza sul web “.
Nel lancio di agenzia si riferisce che ” 54 senatori del Pdl con il ddl che vede come primo firmatario Raffaele Lauro ” avrebbero intenzione di usare la mano pesante, con ” pene dai 3 ai 12 anni di carcere con chi, comunicando con più persone in qualsiasi forma, istiga a commettere i reati puniti dall’articolo 593 del Codice penale ” e che ” La proposta prevede un’aggravante: ‘Se il fatto è commesso avvalendosi dei mezzi di comunicazione telefonica o telematica – si legge nell’articolato del ddl – la pena è aumentata ‘ “.
La stessa agenzia, non firmata, riporta poi alcune affermazioni del Sen. Lauro come se si trattasse di dichiarazioni rese al microfono del redattore: ” Gli articoli 115 e 414 del Codice penale, spiega Lauro, non sono ‘aggiornatì rispetto alle potenzialità espresse dalla rete: ‘Appare dunque di tutta evidenza – sottolinea – la necessità di intervenire per via legislativa prevedendo un’incriminazione finalizzata ad arginare il pericoloso, diffuso fenomeno di coloro che inneggiano alla violenza sulle persone, specialmente attraverso interventi mediatici o telematici ‘ “. ” È necessario – prosegue Lauro – introdurre una fattispecie penale che punisca il comportamento di chi, tramite discorsi, espressioni, scritti, interventi, utilizzando internet o i social network, o tramite altri mezzi mediatici o informatici, istighi a commettere un delitto contro la vita e l’incolumità individuale o fa apologia degli stessi delitti “. In realtà, non c’è nessuna dichiarazione del Senatore Lauro, ma si tratta solo di stralci della relazione di accompagnamento del ddl presentato al Senato.
La notizia è immediatamente ripresa da La Stampa.it – o almeno così suggerisce il buon senso visto che gli orari di pubblicazione dicono l’esatto contrario ovvero che Adnkronos (ore 17:42) avrebbe ripreso la notizia da La Stampa (ore 14:59) – con un pezzo, non firmato, dal titolo egualmente shock per la Rete: ” Proposta Pdl: Dodici anni di carcere a chi istiga alla violenza su Internet “, seguito da un occhiello che conferisce al pezzo estrema attualità: ” La maggioranza al lavoro sul ddl per contrastare le cyber minacce “Impossibile parlare di censura “.
Il pezzo, per il resto, è un puntuale cut&paste del lancio della Adnkronos o viceversa, qualora dovesse emergere che la prima a pubblicare la notizia è stata La Stampa e che l’agenzia l’ha successivamente ripresa.
Il quotidiano online torinese, però, va oltre e data l’estrema attualità e rilevanza della notizia lancia addirittura un sondaggio tra i lettori chiedendo di rispondere a questa domanda: ” Fino a 12 anni di carcere per le cyberminacce. Siete d’accordo con la proposta di legge? “.
Alla mezzanotte del 5 luglio un migliaio di persone avevano partecipato al sondaggio, votando per l’83% per il no.
Nelle ore successive la notizia è ripresa da altri quotidiani online – Il Messaggero e Il Gazzettino tra i tanti – siti di informazione professionistica e blogger.
Tanto rumore per nulla o, almeno, per poco.
La notizia è una “bufala” o meglio, la notizia è vera ma vecchia di oltre sette mesi giacché il disegno di legge Lauro è stato presentato al Senato il 21 dicembre 2009 e, fortunatamente, dal successivo 26 gennaio giace in Commissione Giustizia.
Il sospetto che la notizia sia una bufala o, almeno, non sia attuale sorge nella blogosfera: lo manifesta, tra i primi, Fabio Chiusi sul suo blog e lo ribadisce, poco più tardi, Wil sul suo nonleggerlo.blogspot.com , riferendo di aver ricevuto conferma della “bufala” da Il Messaggero che messo in allarme proprio dal tam tam della blogosfera aveva, finalmente, verificato l’informazione.
Acquisita la certezza della non attualità della notizia in Rete ci si preoccupa di buttare acqua sul fuoco ed evitare che l’informazione si propaghi.
Il Messaggero , invece, piuttosto che correggere la notizia dando atto dell’errore e magari scusarsi con i lettori, preferisce rimuovere il pezzo al cui posto ora campeggia un’indicazione secondo la quale l’articolo non sarebbe più disponibile.
Adnkronos , La Stampa.it e gli altri quotidiani telematici sembrano, ad oltre 24 ore dalla pubblicazione della notizia non essersi accorti di nulla. Seguendo la vicenda mi è tornato in mente il capitolo del provocatorio libro Dilettanti.com di Andrew Keen, dedicato al giornalismo partecipativo, alla Rete e alla blogosfera. Keen si fa interprete di un convincimento, sfortunatamente diffuso, che vuole l’informazione che circola nella blogosfera per definizione meno affidabile di quella professionistica.
Scrive Keen: “Molti di questi giornalisti dilettanti s’ispirano a Matt Drudges: un esercito di scrittori in pigiama, per lo più anonimi e autoreferenziali, il cui motivo di esistere non è quello di dare notizie, bensì di diffondere voci, del fare del sensazionalismo sugli scandali politici e di mostrare foto imbarazzanti dei personaggi pubblici, dispensando link su argomenti immaginari come i vari avvistamenti di ufo e le teorie cospiratorie sull’11 settembre”. Prosegue Keen “chi si occupa di giornalismo partecipativo semplicemente non ha le risorse per poterci fornire informazioni affidabili. Non solo manca di esperienza e di formazione, ma anche delle connessioni e dell’accesso alle informazioni”.
Trovo che il “Caso Bufala Lauro” che si è consumato nelle ultime ore smentisca clamorosamente Keen e quanti con lui ritengono che il dilettantismo sia un fenomeno proprio della blogosfera ed estraneo ai media tradizionali e che l’affidabilità dell’informazione sia caratteristica connaturata a questi ultimi ed estranea alla blogosfera. La realtà è che l’informazione, nel secolo della Rete e nell’Era dell’accesso è liquida, e che competenze, esperienze, professionisti, dilettanti, notizie affidabili ed inaffidabili si compenetrano e scambiano di ruolo e posizione, trovandosi ora nel mondo dei media tradizionali ed ora nella blogosfera.
Questa volta è andata così: una delle più importanti agenzie di stampa nazionali non ha verificato, neppure interrogando il sito del Senato, la bontà ed attualità di una notizia vecchia di oltre sette mesi, una serie di testate di prestigio l’hanno pedissequamente ripresa ed un quotidiano blasonato, preso atto dell’errore, anziché riconoscerlo ha preferito nasconderlo, rimuovendo l’articolo.
Rete e blogosfera, invece, sono andate a fondo: hanno dubitato, voluto capire, verificato e corretto i propri e gli altrui errori.
La prossima volta accadrà il contrario e guai a pensare che non sarà così che un sistema – quello dell’informazione 2.0 – è meglio dell’altro – quello dei media tradizionali – o viceversa.
Certe storie, invece, dovrebbero, forse, aiutare a capire, comprendere e superare diffidenze e preconcetti che vengono da lontano ma non è detto – e non è certamente auspicabile – debbano durare per sempre.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it