Roma – In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del futuro decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con le “Regole tecniche per la generazione, apposizione e verifica delle firme digitali” che dovrebbe (si spera, a questo punto) concludere o per lo meno mettere un punto fermo sulla validità giuridica delle firme elettroniche e, in occasione della polemica che in questi giorni sta investendo la comunità giuridica telematica sul valore probatorio dell’e-mail semplice, sembra opportuno effettuare alcune riflessioni sulla validità giuridica delle diverse firme elettroniche e sul contesto normativo di riferimento.
Il contesto normativo
Con il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2003, n. 137 (in G.U. 17 giugno 2003, n. 138), recante disposizioni di coordinamento in materia di firme elettroniche a norma dell’art. 13 d. lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, può dirsi (salvo quanto già detto sulle “nuove regole tecniche”) concluso il lungo e tormentato iter normativo che ha portato all’introduzione, nel nostro ordinamento, della validità giuridica del documento informatico e delle firme elettroniche.
La norma, che ha efficacia regolamentare, completa il recepimento della direttiva 99/93/CE, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche già avviato con il d. lgs. 10/02 (pubblicato in G.U. n. 39 del 15 febbraio 2002) che aveva predisposto norme di rango legislativo.
Entrambe le norme, poi, modificano il Testo Unico sulla documentazione amministrativa introdotto con d.P.R. 28 dicembre 2000, n 445. Il plesso normativo risultante dal recepimento della direttiva si inserisce nel contesto preesistente in maniera molto netta, modificando al contempo le stesse premesse di fondo della disciplina prescelta in origine dal legislatore italiano.
Ancor prima dell’approvazione della disciplina comunitaria sulle firme elettroniche il legislatore italiano aveva deciso di attribuire validità giuridica esclusiva alla sottoscrizione elettronica che rispettasse i requisiti tecnologici dello strumento ritenuto più idoneo ad assicurare l’autenticità della stessa sottoscrizione: la firma digitale. Il sistema di firma digitale adottato dal legislatore italiano in via esclusiva era basato sulla tecnologia della crittografia a chiave pubblica, che, nell’ottica di una piena equiparazione fra sottoscrizione autografa e sottoscrizione digitale, consentiva (e consente, ndr) di ottenere uno strumento idoneo ad assicurare le stesse funzioni svolte dalla sottoscrizione autografa del documento cartaceo, e che vengono tradizionalmente fatte rientrare nella funzioni indicativa, dichiarativa e probatoria della sottoscrizione.
Al ricorrere dei requisiti tecnologici previsti dalle frattanto intervenute norme tecniche poste con dm 8 febbraio 1999, la clausola di equivalenza tra sottoscrizione autografa e firma digitale consentiva di raggiungere gli stessi effetti giuridici che l’ordinamento attribuisce alla scrittura privata.
Norma fondante del precedente sistema era l’art. 10 d.P.R. 445/2000, nella versione precedente a quello attuale, che nel regolare la forma ed efficacia del documento informatico, stabiliva che:
Il documento informatico sottoscritto con firma digitale, redatto in conformità alle regole tecniche, soddisfa il requisito legale della forma scritta e ha efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2712 c.c.
Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale ai sensi dell’art. 23 del testo unico sulla documentazione amministrativa, ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell’art. 2702 c.c.
In ragione di tale opzione normativa, dunque, la firma digitale veniva equiparata normativamente alla scrittura privata e riceveva, dal punto di vista probatorio, la stessa validità giuridica delle riproduzioni meccaniche ex art 2712 cc.
In tale contesto è intervenuta la modifica che qui si commenta e che ha portato, con i due provvedimenti normativi citati, ad un sistema di firme elettroniche diverso rispetto a quello già regolamentato in precedenza dal legislatore italiano.
Premessa necessaria per il legislatore delegato è l’abbandono del sistema incentrato esclusivamente sulla firma digitale e sull’opzione tecnologica alla base, la tecnologica a chiave pubblica, che pure permane come strumento di autenticazione.
In ragione della diversa opzione normativa mutuata dalla legislazione comunitaria, l’impostazione di fondo della nuova disciplina è quella della liberalizzazione e semplificazione dell’uso delle firme elettroniche ed il riconoscimento della validità anche a firme “semplici”, dotate cioè di uno standard tecnico più blando e che non sono perfettamente idonee, come avviene nel caso della firma digitale, a soddisfare le esigenze di integrità, segretezza, imputabilità e non ripudiabilità della sottoscrizione.
A termini del nuovo regolamento non può essere, infatti, negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova alle firme elettroniche semplici o deboli, le quali si differenziano da quelle avanzate o forti per un diverso livello di sicurezza correlato al meccanismo di formazione e certificazione, e per una diversa efficacia giuridica del documento su cui sono apposte. (4) Le ragioni di una modifica così radicale, attuata per seguire i principi comunitari, risiedono a monte da un lato nella diversa “sensibilità” comunitaria rispetto al tema della espansione del commercio elettronico e dall’altro nella consapevolezza della Commissione Europea di dover utilizzare strumenti normativi tecnologicamente “neutri”.
Mentre la disciplina italiana originaria, derivando dall’impostazione generale della legge cd Bassanini, era infatti essenzialmente diretta a creare uno strumento utile all’informatizzazione della pubblica amministrazione con gli obiettivi di salvaguardare le esigenze di forma e di certezza legate all’agire della P.A., la disciplina comunitaria appare privilegiare lo strumento della sottoscrizione tra privati, mutuando dal sistema dell’accordo e della libertà di forme un regime di certezza giuridica più blando.
Inoltre il Legislatore comunitario, come già avvenuto in passato nel settore della Società dell’Informazione, ha ritenuto di dover assumere un atteggiamento “neutrale” rispetto alle soluzioni tecnologiche, per non sviluppare logiche di mercato anticoncorrenziali e per lasciare aperta la porta ad una futura evoluzione tecnologica difforme.
Il presupposto di base della disciplina comunitaria risiede nella circostanza che vi siano diversi tipi di firma elettronica.
In omaggio a tale presupposto, il legislatore nazionale ha dunque ipotizzato un sistema di sottoscrizione a più livelli con corrispondente forza probatoria differente, modificando tra l’altro anche l’impianto originario della direttiva: il legislatore comunitario si riferisce infatti espressamente a tre tipologie di firma mentre la disciplina di recepimento prevede, sostanzialmente, quattro tipi di firme: la firma elettronica, la firma elettronica avanzata, la firma elettronica qualificata e la firma digitale.
Seguendo pedissequamente il dettato normativo, il sistema di firme attualmente in vigore potrebbe apparire il seguente:
1) la firma elettronica cd. “debole”, definita come l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica (art. 2, lett. a, d.lgs. 10/2002);
2) la firma elettronica avanzata, definita come la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati (art. 2, lett. g, d.lgs.
10/2002);
3) la firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e generata attraverso un dispositivo di firma sicura (art. 10, comma 3, d.P.R. 445/2000, così come introdotto dall’art. 6 d.lgs. 10/2002).
4) la firma elettronica sicura ovvero la firma digitale adottata in Italia con il d.P.R. 513/1997, assimilabile alla tipologia di firma di cui al punto 3.
Al di là delle definizioni strettamente tecniche e che poco aggiungono, in termini normativi, alla comprensione degli istituti, occorre dunque evidenziare la rilevanza probatoria di questo complesso e frammentato sistema di autenticazione su più livelli.
La norma centrale di tutto il sistema risulta essere il nuovo art. 10 del T.U. 28 dicembre 2000, n. 445, come modificato dal primo decreto legislativo di recepimento della direttiva.
Esso prevede, al primo comma, che il documento informatico ha l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2712 c. c, riguardo ai fatti ed alle cose rappresentate, mentre al secondo comma esprime il principio in base al quale il documento informatico, se sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta. Essendo sottoscritto con una firma priva dell’affidabilità della procedura tecnica della firma digitale, il documento informatico sottoscritto con firma elettronica, sul piano probatorio, è liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza.
Il primo comma dell’art 10 citato esprime la duplice esigenza di conferire valore di prova al documento informatico privo di sottoscrizione, attribuendogli pieno valore di prova ammissibile in giudizio e di sottrarre lo stesso documento informatico ad un procedimento valutativo sulla rilevanza probatoria ex post da parte del giudice (come avviene per la firma elettronica semplice), poiché il grado di certezza giuridica deriva dall’aver equiparato lo stesso documento alle riproduzioni meccaniche.
Come già rilevato, l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche era stata attribuita nel sistema previgente al documento informatico munito di firma digitale (art 10, TU ante riforma). Da questo punto di vista è possibile affermare che il documento informatico non munito di sottoscrizione nel nuovo sistema gode di un regime di stabilità più ampio e di una precisa collocazione sistematica, mentre nel precedente sistema veniva considerato una categoria residuale.
L’assenza di una definizione esplicita relativa alla validità probatoria del documento informatico aveva tuttavia già indotto la giurisprudenza ad avviare un processo di assimilazione del documento informatico ad istituti già presenti nel nostro ordinamento ed in particolar modo alle riproduzioni meccaniche, con la possibile formazione di un diritto “pretorio” del documento informatico, analogamente a quanto accaduto con il riconoscimento del valore probatorio del fax. In chiave sistematica appare comunque pienamente condivisibile la scelta definitoria operata dal legislatore.
Il documento sottoscritto con la firma elettronica, come già visto, soddisfa il requisito legale della forma scritta ed è liberamente valutabile dal giudice secondo le caratteristiche di oggettività e sicurezza. Esso soddisfa comunque l’obbligo previsto dagli artt. 2214 e seguenti del codice civile, relativi alla tenuta delle scritture contabili, e da ogni altra analoga disposizione legislativa o regolamentare. In ogni caso – stabilisce l’art. 10, comma 4 – al documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che è sottoscritto in forma elettronica.
Contrariamente alla “piana” definizione del primo comma del nuovo art. 10, la definizione del comma 2 lascia aperti alcuni dubbi interpretativi sul significato da attribuire al valore di “forma scritta” della firma elettronica e sull’uso che di tale strumento può essere fatto nel giudizio.
In merito alla forma scritta occorre rilevare che la norma costituisce una soluzione intermedia fra la prima formulazione della rilevanza probatoria dello “scritto informatico” effettuata dall’art 4 del d PR 513/97, secondo cui, ai fini della parificazione della forma scritta, si richiedeva che il documento informatico munito dei requisiti del regolamento soddisfacesse il requisito della forma scritta e la successiva soluzione approntata dall’originario T.U. sulla documentazione amministrativa (non ancora modificato dal recepimento della direttiva sulla firma elettronica) che invece legava il requisito legale della forma scritta all’uso della firma digitale (art. 10,1 comma T.U. ).
La soluzione adottata prima del recepimento della direttiva permetteva di equiparare il documento informatico sottoscritto con firma digitale alla scrittura privata sul piano della forma, oltreché sul piano della prova, permettendo ad esempio di compiere in forma informatica tutti gli atti per i quali è richiesta una forma scritta ad substantiam (ad es. quelli previsti dall’art 1350 c.c.).
Peraltro l’uso della firma digitale permetteva agevolmente di considerare pienamente realizzata anche la funzione probatoria del documento, che si colloca su un diverso piano rispetto alla attività di documentazione diretta a influire direttamente con l’esistenza stessa dell’atto.
In nessun caso si riteneva che un documento informatico senza firma digitale o con firma elettronica semplice potesse integrare il requisito della forma scritta richiesta ad substantiam o ad probationem (11)
Le norme sulla firma digitale, in virtù della clausola di equiparazione con la scrittura privata, tendevano in sostanza ad equiparare l’uso dello scritto digitale alla nozione di “scrittura privata”, cioè alla dichiarazione resa per iscritto e sottoscritta dal dichiarante. La norma sembrava porre attenzione in maniera esplicita alla funzione di provenienza dello scritto, contrapponendo il documento informatico semplice alla firma digitale, ponendo quest’ultimo istituto come strumento centrale della “rivoluzione informatica” evidenziando inoltre come lo “scritto” digitale si legasse all’esigenza di responsabilizzare colui che appronta la documentazione o forma il documento a fini probatori (o di fornirgli uno strumento di tutela), mediante la precisa e certa attribuzione di paternità dell’atto.
L’interpretazione dello “scritto” come strumento di responsabilizzazione di colui che lo forma o lo utilizza, si riscontra fra l’altro nella recente disciplina della subfornitura introdotta dalla legge 18 giugno, 1998, n. 192, e nella stessa disciplina della tutela del trattamento dei dati personali di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675.(12)
La disciplina di recepimento della direttiva attua invece un’inversione di tendenza, attribuendo anche alla firma elettronica semplice questa duplice forza (di esistenza dell’atto e probatoria) senza che a tale strumento possa essere attribuita la stessa forza attribuita dall’ordinamento alla scrittura privata ed in assenza di almeno uno tra i requisiti tipici della sottoscrizione: la funzione dichiarativa.
La nuova formulazione normativa sembra in sostanza porre l’accento più sul contenuto e sulla sua trasmissione, che si considerano equiparati allo scritto, piuttosto che sulla effettiva paternità e provenienza dell’atto, poiché, anche in presenza di un certificato rilasciato da un certificatore semplice (non dotato cioè degli obblighi di identificazione, tecnologici e organizzativi) sarà difficilmente riscontrabile il requisito di oggettività e sicurezza atto a garantire la piena corrispondenza tra sottoscrittore e documento.
Da un punto di vista di diffusione dello strumento della firma elettronica è facile ritenere che la reale portata di questa inversione di rotta si avvertirà non tanto nell’agire tra privati che, come è noto, è soggetto al principio di libertà delle forme e di libera formazione della volontà negoziale, quanto nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini o imprese nello sviluppo del cd e-Government come avviene in occasione di una stipula di un contratto pubblico on line – il cd e-procurement o appalto pubblico telematico ovvero nella evoluzione del c.d. processo civile telematico – poiché in quel caso il pieno rispetto del principio di legalità e di forma impedirà di fatto l’uso di strumenti di sottoscrizione diversi da quelle in grado di assicurare la piena corrispondenza tra sottoscrittore e atto.
Alcuni dubbi sussistono anche sulla funzione probatoria della firma elettronica, oltre che sui i requisiti sostanziali legati alla forma scritta. Vale innanzitutto la considerazione che la firma elettronica, in virtù della attribuzione di validità della riproduzione meccanica al documento informatico semplice, non ne possa avere la stessa rilevanza probatoria mentre l’eliminazione della clausola di equivalenza tra sottoscrizione elettronica e scrittura privata non consente di attribuire a quest’ultima l’efficacia probatoria tipica dei documenti sottoscritti che è quella delle scritture private ex art. 2702 c.c.
L’assenza di una chiara definizione degli effetti imputabili alla firma elettronica si riflette anche sugli impatti che quest’ultimo istituto può avere sulla dinamica delle prove.
Nel nostro ordinamento, infatti, le prove documentali (come la scrittura privata o l’atto pubblico) sono prove precostituite, che si formano fuori, (e, di solito, prima) del processo, nel quale entrano attraverso un semplice atto di esibizione o di produzione. Prove costituende sono invece quei mezzi di prova che si formano soltanto nel processo, come risultato di attività istruttoria in senso stretto, sicché prima del processo possono solo essere prospettate come possibili, immaginate o preventivate.
La struttura della firma elettronica (ed in particolare la circostanza che l’efficacia probatoria della sottoscrizione sia riconosciuta solamente in un secondo momento rispetto al procedimento di formazione), ed il ruolo determinante del giudice nella attribuzione di validità del documento inducono a ritenere che la firma elettronica ed il supporto su cui è impressa la sottoscrizione elettronica, lungi dall’essere equiparabile ad un documento sottoscritto prodotto in giudizio, divenga esso stesso un mezzo di prova che si forma all’interno del processo, trasformando così una prova documentale assoggettata a tutte le norme legate alla produzione in giudizio in una prova costituenda diretta a fondare il convincimento a seguito di un presumibile processo tecnico di attribuzione della validità giuridica. (15) La valutazione che il giudice deve porre in essere non è anch’essa esente da dubbi.
Se il processo di attribuzione di determinati effetti giudici a posteriori può avere pregio nella ricostruzione della validità delle riproduzioni meccaniche e nel contesto di un documento informatico semplice non sottoscritto, soprattutto quando tale documento non sia direttamente fonte di diritti ed obblighi per le parti, non altrettanto può dirsi per una firma che consenta di imputare ad un soggetto determinati effetti giuridici e che deve, se presentata in giudizio (anche e soprattutto a fini di una corretta realizzazione del contraddittorio sul documento) essere conosciuta in anticipo quanto alla disciplina applicabile ed agli effetti probatori, nel rispetto, fra l’altro, dei principi di produzione e di acquisizione al giudizio delle prove documentali. Nel fondare un giudizio sulla validità della firma elettronica si finisce col creare un sistema di autenticazione processuale basato sul prudente apprezzamento del giudice con una pronuncia a carattere costitutivo degli effetti della firma e con parametri di valutazione di “ogget-tività” e “sicurezza” che non sono né quelli delle riproduzioni meccaniche che riguardano il documento informatico, né quelli della scrittura privata e del procedimento diretto a verificarne la validità, che per espresso disposto di legge non si applicano alla firma elettronica. Se è così ci troveremmo di fronte ad una norma che attribuisce un’ efficacia probatoria diversa da quella che rivestono normalmente i documenti sottoscritti prodotti od esibiti all’interno di un processo: in conclusione, la particolare struttura della firma elettronica, proprio per la mancanza di un riferimento esplicito agli istituti già presenti nel nostro ordinamento, potrebbe portare ad una conclusione non voluta dal legislatore: la violazione del principio della cosiddetta tipicità dei mezzi di prova. Per evitare una così grave conseguenza vi è chi ha affacciato diverse soluzioni per riportare la firma elettronica nell’alveo delle prove documentali. Si è infatti ritenuto di riscontrare nella firma elettronica semplice il “principio di prova per iscritto” previsto dall’art 2724 cc.
A tale ricostruzione è possibile obiettare che il principio di prova per iscritto si riferisce ad uno strumento di prova integrativo della prova testimoniale, mentre il legislatore italiano ha considerato la firma elettronica semplice un mezzo di prova liberamente apprezzabile, con una valenza autonoma ed una piena efficacia probatoria.
Inoltre, tale mezzo si riferisce solo ai contratti, ai quali sarebbero assimilati il pagamento e la remissione del debito (ex art 2726 cc).
Ne resterebbero esclusi fra gli altri tutti gli atti delle Pubbliche amministrazioni oltreché, se si accoglie l’interpretazione data dalla Cassazione al principio di prova per iscritto, tutti gli atti unilaterali.
L’ambito della norma sembra dunque troppo angusto per disciplinare in via generalizzata tutte le possibili utilizzazioni della firma elettronica semplice. Per evitare il conflitto tra la firma elettronica e le norme processuali a presidio dei principio del contraddittorio e della tipicità dei mezzi di prova, è necessario ricercare un diverso ambito di applicazione della firma elettronica semplice, collocandolo in un diverso terreno rispetto da un lato alle riproduzioni meccaniche e dall’altro alla scrittura privata.
Il comma 2 dell’art 10 stabilisce che il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica soddisfa l’obbligo previsto dagli art. 2214 e seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione legislativa o regolamentare.
In virtù di tale disposizione si deve ritenere che il libro giornale ed il libro degli inventari possano essere formati come documenti informatici e sottoscritti con firma elettronica semplice.
Apparentemente tale norma non offre particolari significativi nella ricostruzione del valore probatorio della firma elettronica ma, ad una analisi più approfondita sembra emergere un’analogia di disciplina tra la valenza probatoria della firma elettronica, come stabilita dalla disciplina in commento, ed i principi assunti dalla giurisprudenza relativa ai libri ed alle scritture contabili e dunque un indizio sulla reale volontà perseguita dal legislatore. In particolare, la riflessione giurisprudenziale sugli artt. 2709 c.c. – la norma che stabilisce che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, senza possibilità di scinderne, a questi fini, il contenuto – e sull’art 2214 citato, ha consolidato i principi secondo i quali tali documenti non debbano necessariamente essere sottoscritti (secondo i tradizionali sistemi di sottoscrizione), dovendo rilevare solo le formalità intrinseche idonee ad assicurare la provenienza dall’imprenditore e la riconoscibilità di tali documenti come strumento contabile.
Il formante giurisprudenziale ha determinato quindi il riconoscimento della tenuta in forma informatica di tali registri e l’equiparazione di tali registri alle copie fotografiche degli atti pubblici o delle scritture private di cui all’art 2719 cc, ma, soprattutto, la libera valutabilità da parte del giudice dell’efficacia probatoria di tale strumento. (19) Proprio il requisito della libera valutabilità da parte del giudice richiama alla mente la disciplina della firma elettronica che come si è già rilevato è liberamente valutata dal giudice in considerazione delle sue caratteristiche di oggettività e sicurezza . (20)
Questa analogia di disciplina è stata probabilmente tenuta in considerazione dal legislatore nella redazione della norma e sarebbe in grado di far evincere da una funzione in qualche modo secondaria della firma elettronica la struttura alquanto confusa, dal punto di vista della compatibilità con l’ordinamento, della stessa firma.
Dunque, se si vuole attribuire alla firma elettronica semplice un’efficacia probatoria che in qualche modo sia in grado di ricalcare strumenti già presenti nel nostro ordinamento, l’unico riferimento possibile, in considerazione della impossibilità di considerare applicabile la disciplina della scrittura privata né l’art 2712 c.c., che come si è già rilevato, conferisce valore probatorio al documento informatico semplice è l’art 2719 c.c., per cui, la firma elettronica riceverebbe la stessa disciplina, almeno dal punto di vista probatorio della copia fotografica di scrittura.
La “trasformazione” dei principi di formazione e produzione di documenti all’interno del giudizio sembra essere avvenuta anche in merito agli strumenti più certi di autenticazione elettronica: la firma elettronica avanzata e la firma digitale.
Il 3 comma dell’art. 10 prevede – con una disposizione alquanto complessa – che: Il documento informatico, quando è sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica avanzata, e la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto . La norma nell’ultimo inciso sembra richiamare la formulazione dell’art 2702 c.c. a mente del quale La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa e legalmente considerata come riconosciuta e, presumibilmente, l’intenzione del legislatore è stata quella di voler eliminare i dubbi sull’esperibilità degli istituti del disconoscimento e del procedimento di verificazione della scrittura privata “digitale”, oggetto di accesi dibattiti in dottrina, dotando al contempo la firma elettronica cd sicura di un regime di stabilità molto ampio. (21) La norma sembra aver sposato l’orientamento dottrinario che, escludendo il disconoscimento della firma digitale, attribuiva senz’altro, anche nella vigenza del precedente sistema, al documento sottoscritto con firma digitale (ora con firma elettronica “qualificata”) il valore di prova legale attribuendole piena prova sino a querela di falso.
Il presupposto di questa ricostruzione dottrinaria, (che però, va ricordato, si riferiva esplicitamente solo alla firma digitale) è la considerazione di fatto che il procedimento di certificazione consentirebbe non di identificare con precisione la persona che sottoscrive, ma semplicemente di porre una presunzione assoluta di riferibilità della firma apposta al titolare della coppia di chiavi o del dispositivo di firma mentre la querela di falso, se proposta, consentirebbe invece di attribuire la firma, che tecnicamente è stata apposta ad un documento, al sottoscrittore, escludendo che vi sia stato un uso fraudolento della stessa firma da parte di terzi.
L’autenticazione della firma da parte del pubblico ufficiale poi, prevista dell’ordinamento previgente e riproposta nella formulazione della norma attuale permetterebbe di effettuare un passaggio ulteriore, quello di accertare la validità della chiave privata, di controllare la reale volontà del soggetto interessato e di accertare la liceità del documento sottoscritto secondo i principi generali.
Non vi è chi non veda, però, come questa ricostruzione pecchi di farraginosità in quanto impone agli interpreti di effettuare “artifici” dialettici per spiegare una pluralità di istituti posti a presidio dell’unico fatto sinora riconosciuto dai nostri codici: l’apposizione di una sottoscrizione ed il controllo (del pubblico ufficiale o dell’organo giudiziario) precedente o successivo alla stessa apposizione. Questa ricostruzione non spiega poi come sia possibile che un soggetto esercitante un’attività economica privata non riconducibile a quella del pubblico ufficiale (il certificatore qualificato o accreditato) possa attribuire al documento sottoscritto con firma sicura la forza probatoria “sino a querela di falso”. L’interpretazione dottrinaria, fatta propria dal legislatore, potrebbe incidere inoltre sul diritto alla difesa delle parti presenti nel giudizio: anche volendo ipotizzare che il certificatore si limiti a mettere in relazione un dispositivo di firma con il sottoscrittore, appare difficile che, con gli ordinari strumenti processuali, un soggetto dotato di una “identità digitale”, che egli ritiene essere stata falsificata, possa dimostrare la propria estraneità al processo di apposizione della firma di fronte ad un documento che gli attribuisce con la forza della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico la paternità dell’atto.
Occorre ricordare che, nel caso di firma elettronica avanzata, il certificatore deve identificare con certezza il richiedente e dunque la presunzione assoluta di appartenenza, (non attribuitagli da notaio o pubblico ufficiale, ndr) non potrà nemmeno essere contraddetta con l’unico strumento che sino ad oggi ed in modo estremamente chiaro ha consentito all’organo terzo ed alle parti di raggiungere la verità sulla apposizione della sottoscrizione: la verificazione della scrittura privata. Alcuni dubbi sorgono infine sulla tecnica normativa utilizzata per conferire validità giuridica alla firma qualificata: analizzando le due norme di riferimento (l’art. 2702 c.c. e l’art 10, comma 3, del TU) appare evidente come tali norme abbiano hanno una formulazione pressoché analoga tranne che per il riferimento al compimento o mancato compimento di alcune attività che conferiscono la stabilità giuridica al documento sottoscritto.
L’art 2702 c.c. ipotizza infatti la piena prova fino a querela di falso del documento sottoscritto se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta . Quest’ultimo inciso non compare nella attuale formulazione della norma sulla firma sicura che, priva di quella parte fondamentale della norma che stabilisce i presupposti perché operi la piena prova, stabilisce direttamente la formazione della prova fino a querela di falso senza necessaria intermediazione dei fatti che la legge considera necessari per l’attribuzione della validità giuridica al documento, e cioè la presenza del pubblico ufficiale per l’autenticazione, il mancato disconoscimento in giudizio o il riconoscimento giudiziale o stragiudiziale (o il mancato disconoscimento nei termini) della scrittura.
Queste considerazioni avvalorano la sensazione che, per rispondere in tempi adeguati agli obblighi comunitari, la disciplina normativa della firma elettronica avanzata sia stata frutto di una mera operazione di “ortopedia giuridica” sulla disciplina preesistente, anziché di una approfondita e necessaria riflessione sulla valenza da attribuire al documento, alla documentazione informatica ed alla sottoscrizione elettronica e sulla compatibilità dei principi generali del nostro ordinamento con gli istituti mutuati dalla tradizione giuridica anglosassone.
Avv. Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito
Avvocato e Consulente per l’informatica del Ministero della Giustizia
Studio Legale Sarzana & Partners
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