Con il rilascio del MDK 0.1 , il Module Development Kit in versione alpha, Google inizia il percorso che porterà davvero nelle mani degli utenti il suo concept di smartphone modulare ( nato dall’idea di un appassionato ): come fosse un kit di mattoncini da assemblare, chiunque potrà personalizzare il proprio telefono unendo diverse componenti disegnate e realizzate da chi vorrà aderire al progetto. In futuro, dunque, piuttosto che cambiare tutto il cellulare si potrà aggiornarne la memoria, la fotocamera o anche solo il processore.
L’ idea di Google ruota attorno a una sorta di “spina dorsale” ( spine ), da cui si dipartono una serie di “costole” ( ribs ) che formano la vera e proprio endostruttura (abbreviata in “endo”) che costituisce lo scheletro portante del telefono: questo elemento sarà chiaramente visibile e identificabile nel prodotto finale, permettendo di distinguere chiaramente lo spazio a disposizione per i diversi moduli e scegliere quale combinazione adottare per il proprio terminale . Di endoscheletri esisteranno 3 versioni , con dimensioni crescenti dal mini-candybar fino al phablet, così da permettere varie combinazioni e permutazioni crescenti di spazio ed espandibilità.
Gli schemi proposti prevedono un minimo di 2×5 moduli, suddivisi in 6 slot posteriori più quelli anteriori (tipicamente da impiegare per schermo, eventuale tastiera e altoparlanti), passando per 3×6 (la configurazione intermedia, senz’altro la più flessibile), per finire a 4×7: quest’ultima per ora è solo teorica, verrà prodotta e distribuita solo in seguito, e per il momento ci si dovrà accontentare delle prime due varianti che consentiranno comunque di realizare prodotti di un certo respiro. I moduli verranno agganciati alla endostruttura mediante elettromagneti semi-permanenti , che assicureranno solidità all’assemblaggio senza impedire successivi ripensamenti o aggiornamenti.
Google pone specifici limiti alla foggia e forma che potranno avere i moduli da montare, per tentare di uniformare la cifra stilistica del prodotto finale e renderlo anche esteticamente ineccepibile . Una certa flessibilità sarà consentita, per esempio la fotocamera potrà essere decisamente “bombata” rispetto al posteriore per lasciare spazio alle lenti, ma nel complesso a Mountain View hanno stilato linee guida precise anche per quanto riguarda il design dell’elettronica e del package onde evitare risultati poco appaganti per l’occhio. Persino il modo in cui stampare le informazioni tecniche o il logo sui moduli è stato previsto e codificato, così da garantire una certa omogeneità.
In queste prime 81 pagine sono contenute le informazioni necessarie a designer e ingegneri per iniziare a lavorare a Project Ara: una data precisa per la disponibilità al pubblico finale ancora non c’è, ma trattandosi di quello che a tutti gli effetti è un esperimento di tecnologia futuribile potrebbe darsi che l’obiettivo di Google non sia tanto quello di farne un business, quanto di fungere da capofila per una successiva branca specifica del mercato che potrebbe nascere ed evolversi da queste premesse. Anche l’acquisto di uno smartphone Ara sarà un’esperienza inedita: un’apposita app sarà sviluppata per consentire a chiunque, pratico o meno di hardware, di comporre e ordinare il suo telefono, che dovrebbe comunque montare Android e dunque costituire un’esperienza familiare per tutti.
Luca Annunziata