L’utilizzo delle tecnologie info-telematiche ha ormai investito tutti i settori, modificando le nostre abitudini di lavoratori, professionisti, consumatori e ha mutato il modo di fare impresa, formazione e informazione. Naturalmente questo fenomeno non poteva lasciare indifferente il nostro legislatore, che in più occasioni ha cercato di dare risposte (più o meno convincenti) all’esigenza di normazione delle attività umane nel cyberspazio.
Proprio in queste settimane le nuove proposte di regolamentazione della Rete (dal Decreto Levi sull’editoria alla proposta di Rodotà sull’adozione di una Carta dei Diritti del Web) sono di grande attualità ed è in corso un interessante dibattito tra chi ritiene che queste nuove regole siano necessarie per lo sviluppo di Internet e chi invece pensa che rappresenterebbero un pericolo per le libertà individuali.
Si potrebbe pensare che questo sia argomento di esclusivo interesse dei giuristi o degli addetti ai lavori, di un ristretto numero di soggetti che elaborano leggi destinate ad essere calate ” dall’alto “; ed invece la novità di questo dibattito è rappresentata non tanto dalla mobilitazione della Rete nei confronti delle proposte normative ritenute “pericolose”, ma da alcune iniziative che ” dal basso ” si propongono di realizzare veri e propri progetti di legge in materia (sul punto si segnalano i seguenti progetti: Cittadini Digitali , Internet: 10 punti per la politica , Principi per la libertà dei dati pubblici ).
Si tratta di proposte che mirano al consolidamento di alcuni diritti spesso minacciati (come per la tutela della libertà di espressione) e all’attribuzione di nuovi diritti ( e-democracy , net neutrality ).
In tutte queste iniziative vi è poi la rivendicazione di una Pubblica Amministrazione che eroghi tutti i servizi on line e che sia in grado di comunicare con i cittadini in modalità digitale.
Ebbene, sotto questo profilo stupisce che vengano rivendicati diritti che già l’ordinamento attribuisce ai cittadini italiani e questo sicuramente è un dato che deve fare riflettere.
Da quasi due anni è vigente nel nostro Paese il c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale ( D.Lgs. 82/2005 ) che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto rappresentare una svolta per l’ e-government nell’ottica della promozione di una vera e propria cittadinanza digitale.
Con tale provvedimento normativo sono stati introdotti nel nostro ordinamento alcuni principi e diritti di straordinaria importanza, la cui portata innovativa è stata ridotta nella pratica dal colpevole comportamento delle Amministrazioni che non hanno inteso dare compiuta applicazione ai nuovi istituti.
La prima disposizione che viene in rilievo è rappresentata dall’art. 3 del CAD ( Diritto all’uso delle tecnologie ) la quale ha già attribuito ai cittadini e alle imprese il ” diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni ” sia centrali che locali. Tale previsione è poi completata da una serie di altre disposizioni:
i cittadini hanno il diritto di trasmettere alle Pubbliche Amministrazioni ogni atto e documento con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 4 CAD);
le Pubbliche Amministrazioni hanno l’ obbligo di utilizzare la posta elettronica certificata con tutti i cittadini e le imprese che lo richiedano (art. 6 CAD).
Ad oggi le comunicazioni cittadino-PA in modalità digitale sono ancora eccessivamente residuali, essendo ancora le Amministrazioni oltremodo legate al “cartaceo”; e ciò nonostante l’art. 3, comma 3, del CAD preveda che il cittadino possa promuovere apposito giudizio contro l’Amministrazione che non assicuri l’effettività del diritto all’uso delle tecnologie.
Il Codice contiene poi una serie di importantissime disposizioni sui dati pubblici, preziosissima risorsa per il corretto funzionamento degli Enti e per lo sviluppo del Paese.
L’art. 50 D.Lgs. n. 82/2005 già prevede, infatti, che le pubbliche amministrazioni debbano assicurare che i loro dati siano formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle nuove tecnologie in modo da consentirne la fruizione e riutilizzazione da parte delle altre Pubbliche Amministrazioni e dei privati, sia pure nel doveroso e necessario rispetto della normativa in materia di riservatezza dei dati personali. Esiste quindi già il diritto all’accesso dei dati contenuti nelle banche dati pubbliche .
È facile rilevare che, a oltre due anni dall’adozione del CAD, l’attuazione della norma da parte delle Amministrazioni sia ancora insufficiente; quello che più colpisce, tuttavia, è che i cittadini ancora non abbiano “preteso” dalle Pubbliche Amministrazione i nuovi diritti che sono stati loro attribuiti. Appare quindi necessario interrogarsi sul perché queste disposizioni non siano ancora effettive; molteplici possono essere le cause: impreparazione e resistenza delle Pubbliche Amministrazioni alle nuove norme, mancata consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini, inadeguatezza e insufficienza delle leggi esistenti.
Di questa situazione appare perfettamente consapevole il Ministero competente che, cercando di dare nuovo impulso al CAD, ha adottato un’apposita Direttiva con la quale si invitano le Amministrazioni ad applicare il Codice. L’iniziativa, per quanto apprezzabile, appare eccessivamente “timida”: le norme sono ormai vigenti e, quindi, cogenti per le Amministrazioni che devono rispettarle al fine di evitare contenzioso e responsabilità. Solo l’effettiva applicazione del CAD, infatti, ci potrà dire quali modifiche sono necessarie ed è auspicabile che la riflessione su questi temi non rimanga chiusa tra i pochi addetti ai lavori.
Come per ogni processo di innovazione che si rispetti, le nuove norme per la Pubblica Amministrazione Digitale è meglio che partano dal basso, in modo da evitare che nell’era dell’ e-government i diritti rimangano solo ” sulla carta “.
Carmelo Giurdanella
www.giurdanella.it
Ernesto Belisario
www.ernestobelisario.eu