Roma – “Non ne possiamo più”. Si potrebbe sintetizzare così una inaudita presa di posizione dei piccoli e medi provider italiani riuniti in Assoprovider se la situazione non fosse così pesante per migliaia di imprenditori e lavoratori di un’industria che ha contribuito a porre le fondamenta di Internet in Italia.
In una lettera trasmessa in queste ore a tutti i parlamentari italiani e a tutti i parlamentari europei Assoprovider ricostruisce punto per punto quanto accaduto in questi anni, snocciola dati preoccupanti e invita a riflettere sul perché il 30 maggio a Bruxelles si terrà una riunione che a loro dire è destinata a fare gli interessi delle grandi telco a spese delle piccole e medie imprese italiane e, in definitiva, delle possibilità di scelta dei consumatori.
Di seguito il testo della lunga e interessante lettera che, tra le molte cose, attacca con durezza le scelte politiche del ministro all’Innovazione Lucio Stanca.
“Con la presente nota vi chiediamo un aiuto a sostenere la nostra analisi e a difendere le regole della concorrenza a livello italiano e/o Europeo nel settore strategico delle telecomunicazioni.
Nel momento in cui il nuovo Governo Italiano dichiara di volere cambiare la sua politica e volere favorire l’impresa, proprio la nuova impresa che opera nel settore delle Telecomunicazioni vive il momento più difficile a causa delle scelte politiche proprio del Governo ed in particolare del Ministro Stanca (Posta Certificata, portalone del Turismo Scegli Italia), e del Ministero delle Comunicazioni sul wireless per la larga banda.
Ma anche in Europa tira una brutta aria, per le nostre imprese, a giudicare dalle sollecitazioni a modificare la regolamentazione TLC che limiterebbe la libertà di movimento dei grandi ex-monopolisti, in nome della concorrenza, giunte dall’europarlamentare Cesa, italiano, del PPE; e purtroppo le risposte giunte dalla commissaria alla Società dell’Informazione CE, Viviane Reding, a tali sollecitazioni non sono del tutto rassicuranti per le nostre aziende.
E’ sconcertante constatare che politici italiani con responsabilità in Italia e in Europa si dimentichino completamente della struttura produttiva italiana, basata sulla creazione diffusa di nuova impresa.
Poiché l’efficacia di qualunque oggetto si misura sui risultati ottenuti, c’è da chiedere ai due politici (Stanca e Cesa), che efficacia abbiano avuto le attuali regole in Italia e in Europa; per misurarla basta vedere quante nuove imprese siano nei fatti riuscite a crescere competendo con i grandi ex monopolisti nelle TLC (in Italia ma anche in Europa), e verificare eventualmente come le regole della tutela della concorrenza siano state fatte valere, prima di decidere, come riportato dalla stampa, purtroppo, da parte del Commissario Reding in risposta a Cesa, che è giunta l’ora di privilegiare di nuovo lo sviluppo dei i grandi operatori.
Dalla lettura di questo quadro italo europeo sembra sia venuto il momento di farla pagare alle piccole imprese che hanno osato mettersi a competere con i tradizionali colossi delle TLC in Europa (e l’Italia pare aver precorso i tempi in questa strategia di vendetta).
Qualche altro segnale in tale direzione? La sentenza del TAR del Lazio che ha annullato la multa comminata dall’Antitrust italiana a Telecom Italia e il “forte” contributo dei politici europei (fra cui gli Italiani) alla brevettabilità del software. Come di recente scritto da Richard Stallman ai Parlamentari Italiani:
“Gli sviluppatori e gli utilizzatori di software in Europa si troveranno di fronte ad un grande pericolo se l’UE permetterà di brevettare le tecniche di software: il pericolo di essere incriminati per le idee contenute nei software che essi sviluppano e usano. A differenza del copyright, che protegge la descrizione dell’intero programma ma non le singole idee che lo compongono, la brevettabilità del software consentirebbe un monopolio sull’uso di tecniche generiche” .
Speriamo (e ci auguriamo) che le cose non stiano così, ma proprio per cercare di denunciare questo rischio, abbiamo deciso di stilare un quadro indirizzato ai politici Italiani ed Europei, perché in Europa ed in Italia giunga pure la voce dei nuovi operatori delle TLC, condannati al nanismo dall’alto e niente affatto per loro scelta.
Cari politici, ricordate che il motto “piccolo è bello” non è una scelta di vita delle nostre nuove imprese; i nuovi imprenditori vogliono crescere, ma per crescere hanno bisogno della tutela dagli abusi, e se i politici questa tutela non la applicano, ma al contrario aiutano i potenti, la frittata è fatta.
In un paese in cui l’Autorità per le Comunicazioni dal giorno della sua istituzione e fino ad oggi, non ha lasciato alcun segno della sua esistenza per quanto riguarda la tutela dei competitor degli operatori TLC tradizionali, favorendo così di fatto pesantemente questi ultimi, gli ampi spazi non coperti da tale Autorità sono rimasti saldamente in mano ai Ministeri di settore, cioè in primis le Comunicazioni e l’Innovazione e le Tecnologie.
Dopo anni di dichiarazioni di liberalizzazione, gli operatori che prosperano sono i soliti grandi gruppi di sempre. Nel trasporto e sull’accesso, andando contro i trend tecnologici che chiedono l’apertura a tecnologie standard aperte e unlicensed, il solito cavo con su ADSL, in mano agli ex monopolisti, la fa in Italia da padrone, con cifre da quasi monopolio.
Quello che sta crescendo progressivamente è il numero di guasti tecnici in fase di installazione di nuove adsl da parte di operatori concorrenti: poiché Telecom Italia possiede i cavi che raggiungono le case e gli uffici italiani, essa interviene nella installazione di nuove linee adsl da parte degli operatori concorrenti, e escludendo un degrado tecnico di TelecomItalia, questo potrebbe essere un altro segnale nella direzione che Telecom Italia considera strategico il monopolio nelle linee adsl, anche in vista della fornitura di contenuti al pubblico su rete IP.
Il ministro Stanca
Stanca è arrivato di recente, da Ministro della Repubblica in carica, a giustificare i tagli di posti di lavoro della IBM (scelta quanto meno inopportuna per una persona che ha un incarico che dovrebbe portare a creare i posti di lavoro, e non a benedirne i tagli), difendendo tale scelta come indispensabile per il rilancio della competitività di IBM; non c’è da stupirsi visto che in questi anni in Italia ha preso come Ministro una serie di provvedimenti (si legga ad esempio Posta Elettronica Certificata PEC, Diritti d’Autore e Portale per il Turismo) che in pratica elimineranno dai mercati dei servizi Internet centinaia di nuove imprese italiane delle TLC, con i relativi posti di lavoro, favorendo quindi di fatto la grande impresa (come IBM, Poste Italiane, etc.).
Solo la regolamentazione della PEC, per come la si vuole realizzare porterà ad esempio ad una perdita di posti di lavoro stimata intorno alle 20000 unità.
Stanca sembra volere varare provvedimenti che cercano di regolamentare dall’alto la Internet italiana. E’ come se il Ministro volesse cambiare con la forza la natura di Internet, per farla assomigliare ad una grande multinazionale in cui la cabina di regia decide dall’alto sul funzionamento della macchina (e in questo disegno la piccola impresa non può esistere).
Proprio l’opposto dell’ attuale modello di Internet che ha reso possibile il suo fenomenale sviluppo; chi vuole modificare (per migliorare) Internet, non può ignorarne la natura, se vuole essere efficace.
La PEC e il ministro Stanca
Il 28 Gennaio scorso è stato emanato dal Governo uno “Schema di DPR recante il regolamento per l’utilizzo della Posta Elettronica Certificata” . Lo Schema di DPR pubblicato sul sito del CNIPA è stato redatto dopo una lunga fase di sperimentazione del servizio di Posta Elettronica Certificata, alla quale hanno partecipato, collaborando attivamente con il CNIPA, molte delle aziende iscritte ad ASSOPROVIDER.
Purtroppo, però, tutte le indicazioni ed i suggerimenti venuti fuori durante la sperimentazione non sono stati minimamente tenuti in considerazione in sede di stesura dello Schema che deve regolare la fornitura del servizio.
Il contenuto regolamentare farà in modo che il servizio di Posta Elettronica Certificata italiano non decollerà mai, anzi rischierà di provocare dei seri danni al funzionamento della rete Internet italiana in generale. ASSOPROVIDER ritiene inoltre che lo schema PEC-Italia non tuteli la libera concorrenza tra le imprese, principio prescritto dalla nostra Costituzione. Infatti lo Schema è sotto molti aspetti anticoncorrenziale perché stabilisce che le aziende che vorranno offrire un servizio di Posta Elettronica Certificata dovranno avere un minimo di un milione di Euro di capitale sociale interamente versato. Questa misura, lungi dal garantire alcuna serietà dell’azienda fornitrice del servizio (basti pensare ai casi Parmalat, Cirio, etc.), determina invece una fortissima discriminazione per quelle aziende che a maggioranza hanno partecipato e con impegno alla fase di sperimentazione del servizio, dimostrando sul campo la loro capacità e serietà, e che si vedranno escluse categoricamente, senza un motivo valido, da un mercato che inevitabilmente finirà nelle mani di pochissime aziende.
Assoprovider è del parere che il limite di capitale sociale minimo non serva e che solo una seria attività di controllo, basata su regole e modalità stringenti, possa tutelare cittadini ed imprese rispetto alla fornitura di un servizio così delicato. Milioni di imprese italiane utilizzano la posta elettronica per lavorare, recapitare preventivi, fare acquisti, senza che mai nessuno abbia denunciato la minor sicurezza di servizi e-mail forniti dai piccoli operatori. Questa è la realtà, dimostrata dall’efficacia delle sperimentazioni condotte dai nostri associati sulla PEC.
Il servizio di Posta Elettronica Certificata rischia di eliminare del tutto dal mercato quella miriade di piccole e medie imprese impegnate nel settore Informatico/telematico, che svolgono la funzione importantissima di “trasferimento tecnologico” per tutto il tessuto delle PMI italiane, a cominciare dai servizi di posta elettronica. L’approvazione dello schema di DPR rischia di cancellare dal mercato circa 1.500 aziende nell’arco di un anno con un ammanco di non meno di 20.000 (ventimila) posti di lavoro.
La Società Innovazione Italia, creata da Sviluppo Italia e dal Ministero per l’Innovazione e la Tecnologia di Stanca, si è resa protagonista di un’altra pagina nella guerra contro la nuova impresa italiana; questa società ha infatti deciso di realizzare un portale dal nome Scegli Italia, con lo scopo di organizzare il turismo verso l’Italia su Internet, interagendo e sistematizzando quanto già esiste.
Già solo questa dichiarazione lascia molte perplessità a chiunque abbia un minimo di esperienza su Internet; il turismo, uno dei settori di maggior successo del B2B e B2C, vede la presenza di portali, grandi e piccoli, che sono gestiti e realizzati da nuove imprese italiane, in collaborazione con gli operatori turistici grandi e piccoli; molti di questi portali sono storie di successo di Internet; lo stesso avviene in qualsiasi altro paese del mondo.
Mentre non sarebbe sbagliata, anche se di difficile realizzazione pratica, l’idea di una organizzazione a rete di tali portali dal basso, l’approccio di Innovazione Italia, stile “elefante in un negozio di cristalli”, è quello di “organizzare dall’alto” un pezzo di Internet perfettamente funzionante così com’è; ciò, nella migliore delle ipotesi, si risolverà solo in uno spreco di denaro pubblico, mentre nella peggiore (data comunque a nostro avviso l’impossibilità del risultato per cui il portalone Scegli Italia è stato concepito) determinerà la creazione di enormi e ingiustificate aspettative da parte degli utenti (date le cifre considerevoli previste nel progetto per la sua comunicazione al pubblico) che distorceranno comunque il mercato preesistente dei portali turistici privati, in attesa dell’arrivo improbabile di questo portalone.
Nel mondo del turismo il governo potrebbe spendere le poche risorse per agevolare la definizione di un linguaggio comune (basato sull’XML ed i webservices) e per creare incentivi verso quelle strutture che si adopereranno per mettere in linea tutte le informazioni in loro possesso in tempo reale: facendo uso del linguaggio comune, si otterranno di sicuro maggiori risultati, in tempi minori e con minori oneri per la collettività e soprattutto rispettando l’ imprenditorialità di tutti e senza agevolare le solite grandi imprese.
Insomma, il portalone Scegli Italia costituirà ulteriore danno per l’impresa TLC e del Web; l’unico vantaggio sarà per qualche grossa impresa che vincerà le gare per la realizzazioni di questo mostro del Web.
Qui il Ministro è cambiato, con l’allungamento dei tempi intuibile per gli importanti provvedimenti che da anni aspettiamo. Nel mercato del broad band italiano, dove l’Autorità delegata alla sorveglianza (AGCOM) non ha fatto a nostro avviso il suo dovere, facendo tornare saldamente nelle mani dell’ex monopolista il mercato dell’accesso broad band (su ADSL), dopo una certa liberalizzazione nel dial up, Assoprovider, come ben noto, da due anni rappresenta la moltitudine di soggetti in attesa della regolamentazione dell’ultimo miglio per il Wi-fi; l’audizione “conclusiva” risale al 26 ottobre 2004, ma da allora non si è fatto altro che addurre scuse per l’ingiustificabile ritardo.
Nel frattempo si susseguono dichiarazioni dei Ministri delle Comunicazioni e ultimamente anche dell’Innovazione Tecnologica, che fanno identificare come un tutt’uno due tecnologie diverse come Wi-Fi (pronta ad essere usata per il broad band in Italia) e WiMax (di là da venire) e che in alcuni casi sostengono e prevedono di finanziare progetti in Wi-Fi come se non esistessero gli ostacoli normativi da loro stessi posti (vedi Infratel, Sistema Pubblico di Connettività).
L’associazione ha prontamente inoltrato al nuovo Ministro delle Comunicazioni, Landolfi, la richiesta di liberalizzare completamente l’impiego delle gamme di frequenze non protette dei 2,4 e dei 5 GHz per dare finalmente il via alla liberalizzazione anche fuori dagli edifici dopo che il precedente regolamento D.L. del 28/05/2003 aveva regolamentato esclusivamente l’utilizzo indoor del Wi-Fi.
I provider si chiedono anche perché tanto interesse da parte del Ministero sul WiMax “standard ancora in fase di definizione” quando esistono già esperienze positive relative al Wireless fidelity. Tutto questo interesse, prematuro per il WiMax, trasmesso alla stampa sta creando una enorme confusione fra Wi-Fi e WiMax facendo ingenerare la sensazione che noi operatori aspettiamo il WiMax (con i suoi tempi lunghi) mentre a noi interessa lo sblocco immediato dell’altra tecnologia che è già pronta per l’ultimo miglio e che si chiama Wi-Fi.
Si consideri che ormai ogni pc portatile ha a bordo una scheda per connettersi in Wi-Fi, mentre il WiMax è ancora in fase di sviluppo.
Cosa molto grave è poi che contemporaneamente quello che sembra vietato dalla normativa, sembra essere ammesso nei fatti a giudicare dalla proliferazione proprio di offerte di connettività Wifi presenti in ogni angolo d’Italia.
Quello che serve è, dunque:
– chiarezza sull’interpretazione delle norme; l’illegalità, se tale è, (e da parte nostra è già stata inoltrata al Ministero delle Comunicazioni una richiesta di chiarificazione e un’interpretazione ufficiale dei casi “sospetti”), sta danneggiando per milioni di euro SOLO le aziende che rispettano le leggi;
– libero uso delle frequenze delle bande non protette R-Lan e Hiper-Lan (2,4 e 5 GHz) sia in modalità punto-multipunto (offerta di servizio alle utenze fisse) che punto-punto (offerta di servizio al pubblico e trunking tra sedi e stazioni base dell’operatore);
– nessun costo di licenza né per l’operatore né per l’utenza;
– nessuna limitazione sulle aree di copertura né geografiche né territoriali e sulla tipologia di servizi Ip offerti con tecnologia wireless
UE: CESA, NECESSITA’ DI FAVORIRE INVESTIMENTI PER INNOVAZIONE NELLE TLC IN VISTA DELLA REVISIONE DEL QUADRO NORMATIVO NEL 2006
Viviane Reding, Commissaria Europea alla Società dell’Informazione, per quanto riportato dalla stampa di settore, sollecitata dal nostro connazionale europarlamentare Cesa, del PPE, ha sottolineato che la normativa Ue sulle TLC già incoraggia gli investimenti e nuovi servizi nel settore. Ma la stessa Reding, nelle stesse dichiarazioni riportate, ha poi purtroppo per noi continuato, con implicito riferimento ai grandi operatori europei di cui Cesa rappresentava (così ci è sembrato) in quel momento le esigenze, evidenziando che “sui nuovi mercati emergenti l’impresa leader che verosimilmente detiene un significativo potere di mercato non per questo dovrà essere assoggettata ad obblighi ingiustificati”.
Questo dialogo fra i due politici Europei che rappresentavano da un lato la Commissione e dall’altro il Parlamento, è avvenuto in vista dell’audizione del 30 maggio 2005 organizzata presso il Parlamento Europeo proprio da Lorenzo Cesa, che ha sottolineato che “la crescita del settore richiede che le Istituzioni europee adottino regole in favore degli investimenti, soprattutto nei mercati emergenti”.
L’audizione parlamentare servirà per valutare lo stato attuale del mercato in Europa e confrontare le visioni sugli sviluppi degli anni a venire. Questa nostra lettera sarà inviata prima di tale audizione a tutte le personalità che saranno presenti come organizzatori o come invitati, alla audizione di Bruxelles.
Date le premesse appena citate, infatti, e dati i rappresentanti della grande industria invitati, come già comunicato, anche in Europa si rischia di non tenere in considerazione le esigenze delle nuove PMI impegnate in questo settore, e dunque questo contributo di Assoprovider servirà a dire che le esigenze di garanzia della concorrenza sono ancora perfettamente attuali, e anzi vanno rafforzate.
Ci auguriamo che questa nostra pur semplice analisi del contesto, basata su alcuni esempi, sia riconosciuta avere in Europa una valenza di rappresentazione generale dei problemi incontrati nei paesi UE dai nuovi concorrenti dei tradizionali grandi operatori e serva a riflettere sul fatto che esiste un mondo di imprese che vogliono crescere ma non possono, che hanno ancora molto bisogno di una normativa che di fatto ne permetta, o quanto meno non ne ostacoli, lo sviluppo”.