Sidney (Australia) – Una sanzione compresa tra i 10mila e i 55mila dollari australiani, equivalenti a 6mila-35mila euro, è quanto dovranno presto pagare i provider del paese dei canguri se consentiranno ai propri utenti di accedere in rete a contenuti di pornografia infantile. Questo il senso di una nuova direttiva firmata e voluta dal ministro della Giustizia Chris Ellison.
Ellison (nella foto) ha stabilito che dal primo marzo i provider di accesso e i fornitori di servizi di hosting debbano segnalare alla polizia federale australiana qualsiasi sito o altra attività internet collegato al pedoporno. Se non denunciano eventuali attività pedopornografiche e, ed è questa la parte più singolare del provvedimento, se offrono servizi che possono essere utilizzati per accedere al pedoporno, allora i provider rischiano le multe. L’intero testo non è ancora disponibile ed è dunque difficile pronunciarsi sul reale impatto di questo provvedimento che però, da come viene descritto, ai più appare inquietante.
La direttiva sembra infatti delegare ai provider quanto è tradizionalmente di competenza della polizia. Ed è ovvio che rendere gli ISP responsabili di ciò a cui accedono i propri abbonati significa costringerli ad una operazione di censura preventiva che non solo non può impedire completamente l’accesso a siti di cui si ignora l’esistenza ma che, condotta anche con onerosi sistemi automatici, può significare rendere inaccessibili molti siti del tutto legittimi.
Ellison sembra ritenere che la questione sia troppo calda per non costringere gli ISP ad intervenire direttamente. “Non si può enfatizzare abbastanza – ha dichiarato – il fatto che dietro ad ogni orribile immagine di pornografia infantile c’è il caso tragico di un bambino innocente che ha subito violenza da qualche parte nel mondo”.
L’orrore per la cosa è tale, dunque, da spingere, nel 2005, l’Australia in un territorio dal quale da tempo tutti i paesi più evoluti si sono ritratti: quello delle responsabilità dirette dei provider per i contenuti a cui accedono i propri abbonati.
Più comprensibilmente, la nuova normativa porta al livello di reato federale, punibile con reclusione fino a dieci anni , la trasmissione via internet o la messa a disposizione in rete di materiali pedopornografici.
Che i provider debbano trasformarsi in cybercop Ellison lo ha reso ancora più chiaro auspicando che i responsabili dei servizi internet inizino al più presto a collaborare da vicino con la divisione della polizia federale dedicata alla repressione del fenomeno e con l’ High Tech Crime Centre australiano.
E’ bene ricordare che l’Australia per combattere il pedoporno ha da tempo dato il via libera alla creazione di siti civetta pensati per attirare e identificare utenti internet “propensi” a scaricare immagini di un certo tipo. E ad ottobre proprio la polizia australiana ha dato vita ad una delle maggiori operazioni antipedofilia che mai abbiano riguardato utenti internet, non solo australiani peraltro.
Va anche detto che per allontanare la tentazione del Governo inglese di muoversi nella direzione in cui si è mosso quello australiano, l’anno scorso il principale operatore britannico, British Telecom , aveva sollevato enorme scalpore annunciando filtri antipedoporno sulle proprie reti in quella che è stata definita operazione CleanFeed . Un’operazione nata e sviluppata proprio come forma di censura preventiva. A luglio dell’anno scorso BT ha annunciato che ogni giorno i suoi filtri bloccano 230mila tentativi di accesso a siti pedoporno da parte di utenti britannici. Non è però chiara quale sia la percentuale di spazi web del tutto legittimi resi “invisibili” al pubblico inglese.