L’abolizione dei costi di ricarica derivante dal pacchetto Bersani può trasformarsi in un boomerang, se utilizzata come argomento per una campagna pubblicitaria. Lo dimostra la condanna inflitta a TIM dall’ Antitrust per gli spot “TIM Tribù azzera i costi di ricarica”.
Ne dà segnalazione la stessa Authority nel proprio bollettino, pubblicato ieri , in cui spiega di aver ricevuto da un consumatore la segnalazione della presunta ingannevolezza degli spot pubblicitari relativi a tale offerta, trasmessi lo scorso autunno.
“Il messaggio in esame – si legge nel provvedimento – lascia intendere che Telecom abbia lanciato, per prima tra i diversi gestori di telefonia mobile, una tariffa, dedicata a coloro che abbiano già aderito al profilo Tim Tribù , che annulla i normali costi della ricarica”. Una scritta in sovrimpressione spiegava invece – correttamente – che il consumatore doveva comunque versare il costo della ricarica, che Telecom gli avrebbe rimborsato in forma di bonus di traffico gratuito. Lo spot non comunicava però, puntualizza l’Autorità, “la sussistenza di limitazioni alla fruibilità di tale bonus per quanto attiene alle direttrici di traffico, al numero ed al periodo di spendibilità”.
Un’omissione grave, dal momento che – ha sottolineato l’Authority nel provvedimento – “nel settore della telefonia, caratterizzato dal proliferare di offerte promozionali anche molto articolate, completezza e comprensibilità delle informazioni si caratterizzano come un onere minimo dell’operatore pubblicitario al fine di consentire la percezione dell’effettiva convenienza della proposta. In questa prospettiva, la completezza della comunicazione deve coniugarsi con la chiarezza e l’immediata percepibilità delle condizioni di fruizione dell’offerta promozionale pubblicizzata”. Per questo motivo la campagna pubblicitaria è stata bollata come ingannevole e ritenuta meritevole di un’ammenda pari a 64.600 euro.
La segnalazione, si è scoperto ieri, era stata inoltrata da Andrea D’Ambra, presidente dell’associazione di difesa dei consumatori Generazione Attiva , che dell’abolizione dei costi di ricarica ha fatto il suo cavallo di battaglia e che ieri, in una nota, ha rivendicato la paternità dell’esposto: “Questa è solo la prima di lunga serie di sanzioni che continueranno ad arrivare per le aziende indisciplinate che non dimostrano un minimo di rispetto verso i consumatori – ha dichiarato D’Ambra – Da quando sul nostro sito abbiamo predisposto un modulo di segnalazione per tutti i messaggi e le pubblicità ingannevoli riceviamo centinaia di denunce che vengono vagliate dalla nostra associazione ed inviate all’Antitrust”.
“Allo stesso tempo – conclude – si deve far di tutto affinché il Codice del Consumo venga modificato nella parte in cui prevede un tetto massimo alla sanzione amministrativa di 100.000 euro, tenuto conto del fatturato e delle circostanze aggravanti di questi grandi colossi troppo spesso recidivi. Basti vedere cosa accade negli altri paesi, come ad esempio in Francia dove recentemente per pubblicità ingannevole alla principale catena di distribuzione Carrefour è stata richiesta una sanzione pari a 4,8 Milioni di euro”.
Allineata alla stessa posizione è ADUC che, relativamente all’importo della sanzione comminata a TIM commenta: “Un’inezia, rispetto ai vantaggi avuti dal gestore grazie a questa pubblicità. I soldi incamerati dall’Antitrust non sono destinati né ai consumatori, né alle società concorrenti danneggiate, ma hanno lo scopo di dissuadere i gestori dal ripetere un comportamento scorretto. La cifra che Telecom dovrà pagare corrisponde allo 0,00215% dell’utile netto 2006 (3miliardi di euro). È come, per esempio, se noi comuni mortali fossimo multati di 0,47 euro per un divieto di sosta: saremmo per questo stimolati a non violare più il codice della strada, visto che è molto meno del costo di un parcheggio?”. Il ragionamento, peraltro, è analogo a quello già illustrato dall’esperto di reti Stefano Quintarelli , che evidenzia da tempo la mancanza di esemplarità delle sanzioni.
“Il meccanismo non funziona – rimarca ADUC – L’esiguità delle sanzioni, rispetto ai vantaggi, fa sì che i gestori continuino imperterriti nei loro bluff con lo stesso spirito dell’imprenditore che paga le mazzette a un politico oppure ad un mafioso: quel costo è un investimento che rende molto di più. Così le multe diventano un costo che non è inserito tra le componenti straordinare del conto economico, ma tra i costi ordinari come salari e stipendi, spese per cancelleria e tangenti”.