New Orleans è una delle città statunitensi con il più alto numero di cam di sicurezza nelle strade, perlopiù gestite da forze dell’ordine. E molte altre metropoli americane dispongono di un certo numero di cam. Ma il fenomeno delle telecamere di sorveglianza sulle attività dei cittadini, una realtà da lungo tempo nel Regno Unito così come in Italia , si scontra con una crescente opposizione .
Per quanto possa apparire incredibile – visti gli applausi che normalmente accompagnano la diffusione delle cam nelle città europee – Electronic Frontier Foundation e ACLU hanno deciso di dare battaglia contro la messa sotto sorveglianza di alcuni quartieri di San Francisco.
Le due associazioni, tra le più importanti organizzazioni statunitensi di difesa dei diritti civili, si oppongono ad un progetto che, come racconta il San Francisco Chronicle , prevede l’installazione di 25 nuove cam nei quartieri popolari della città nei prossimi 18 mesi. Ogni cam costerà tra i 4mila e i 7mila dollari e, secondo il sindaco, costituirà un deterrente al crimine e al traffico di droga fornendo, contestualmente, un importante servizio di monitoraggio a favore della sicurezza delle persone.
EFF, ACLU e la National Lawyers Guild stanno cercando di stimolare la protesta dei residenti contro queste installazioni. Il tam tam in rete fa ben sperare: Indymedia San Francisco pubblica un appello per partecipare numerosi all’incontro del prossimo mercoledì con le forze di polizia e spiega con chiarezza perché questo genere di cam è pericoloso:
“La videosorveglianza rappresenta una minaccia significativa alla privacy e alla libertà di espressione perché consente al Governo di sapere cosa stai facendo e dove stai andando. Le cam di sorveglianza impattano sulla libertà di parola perché raffreddano la libera espressione politica e religiosa. L’idea della sorveglianza governativa può spingere individui con idee impopolari a non farsi vedere alle manifestazioni o a non parlare su temi scottanti (…)”
Già nel 2003, l’ex Garante per la privacy italiano, Stefano Rodotà, affermava in proposito, con la consueta chiarezza: “Questa inarrestabile pubblicizzazione degli spazi privati, questa continua esposizione a sguardi ignoti e indesiderati, incide sui comportamenti individuali e sociali . Sapersi scrutati riduce la spontaneità e la libertà “.
“Riducendosi gli spazi liberi dal controllo – spiegava – si è spinti a chiudersi in casa, e a difendere sempre più ferocemente quest’ultimo spazio privato, peraltro sempre meno al riparo da tecniche di sorveglianza sempre più sofisticate. Ma se libertà e spontaneità saranno confinate nei nostri spazi rigorosamente privati, saremo portati a considerare lontano e ostile tutto quel che sta nel mondo esterno . Qui può essere il germe di nuovi conflitti, e dunque di una permanente e più radicale insicurezza, che contraddice il più forte argomento addotto per legittimare la sorveglianza, appunto la sua vocazione a produrre sicurezza”.