Il codice che anima i siti web opera nell’ombra per supportare l’immagine che l’industria del copyright vuole trasmettere di sé: e proprio nell’ombra si è consumato un piccolo scandalo, portato alla luce da Torrentfreak . Sempre attivissima nel frugare nelle pieghe del business del copyright, la testata ha scoperto che il codice impiegato per i siti web di RIAA e BMI, che rappresentano rispettivamente l’industria della musica statunitense e britannica, è stato utilizzato senza alcuna indicazione della licenza con cui è distribuito.
Si tratta in particolare di script JQuery rilasciati sotto MIT License : un tipo di licenza scelta da jQuery proprio per la flessibilità e per le libertà che concede agli sviluppatori che decidano di adottare il codice. Unica condizione imprescindibile all’uso dello script, anche per i progetti commerciali, è quella di lasciare intatto l’header che classifica il codice con la licenza .
Proprio questa unica condizione non è stata rispettata da coloro che hanno sviluppato i siti per i paladini del copyright RIAA e BMI. Torrentfreak ha messo a confronto con delle immagini il codice, mostrando con chiarezza come l’header relativo alla licenza scompaia nella pagina di RIAA , insieme al riferimento della paternità del codice, modificato e adattato dall’agenzia di design ZURB. Lo stesso vale per il sito di BPI: nessuna indicazione rispetto alla licenza con cui lo script è stato rilasciato.
La testata non ha esitato a rivolgersi ai responsabili delle due associazioni di categoria, ottenendo una pronta reazione. Sia RIAA sia BMI si sono subito mobilitate per aggiornare le proprie pagine affinché indicassero con chiarezza la natura e la paternità del codice impiegato. Non una parola in più, però,oltre a quelle della corretta dicitura da riportare nell’header: le giustificazioni e le scuse, per le associazioni che si ergono a tutela del copyright più volte colte in fallo nel tradire le stesse istanze per cui si battono, sembrano essere superflue .
Gaia Bottà