Oltre 100 dipendenti Microsoft hanno firmato una lettera aperta al CEO Satya Nadella per chiedere che il gruppo possa interrompere la propria collaborazione con l’ICE (Immigration and Customs Enforcement). Il motivo è tutto nella forza delle immagini trapelate nei giorni scorsi, dove è chiaro il trattamento psicologico riservato agli immigrati irregolari , i quali vengono separati dai figli come prova di forza del governo Trump su questo tema.
Una lettera che ha in sé una forza particolare, poiché mette i dipendenti di Redmond in una situazione unica nei confronti dell’azienda per cui lavorano: la richiesta è di fatto quella di interrompere una collaborazione sicuramente proficua per l’azienda (e quindi per tutti coloro i quali vi lavorano), nonché strategica per l’immagine di Azure sul mercato, mettendosi dal punto di vista etico in posizione contraria rispetto al Presidente. Ed è una lettera che per molti versi mette anche in imbarazzo l’azienda, la quale si è affrettata a rilasciare una comunicazione ufficiale nella quale prende le distanze dalle conseguenze della “tolleranza zero”: Microsoft non ha nulla a che vedere con le pratiche utilizzate nella separazione dei minori dai propri genitori. Microsoft mette a disposizione la tecnologia, nulla più di questo.
Ma il caso non è unico nel suo genere. Nei mesi scorsi, infatti, qualcosa di simile è successo anche in Google , dove migliaia di dipendenti hanno preso posizione nei confronti della collaborazione dell’azienda con il Pentagono . In ballo v’era il cosiddetto “Progetto Maven”, che avrebbe presumibilmente coinvolto l’intelligenza artificiale made in Google per lo sviluppo di soluzioni utilizzate in guerra. Un manipolo di dipendenti è arrivato anche al licenziamento, portando agli estremi il rigurgito etico che aveva inaugurato la protesta.
La situazione va letta tra le righe per quel che è e per come si rivela. Da una parte v’è infatti la coraggiosa presa di posizione di dipendenti che sfidano le proprie stesse aziende in virtù di un attaccamento all’azienda stessa che va anche oltre l’interesse personale; dall’altra vi sono multinazionali che prendono timidamente posizione contro Trump , ma al tempo stesso non sembrano voler certo forzare la mano (gli statement di Tim Cook, Susan Wojcicki e Mark Zuckerberg in queste ore non sembrano andare oltre la forza di un comunicato stampa). In questo braccio di ferro, insomma, le lettere dei dipendenti sembrano avere una doppia funzione: quella di tenere alta la bandiera della protesta e quella di offrire un rifugio alle proprie aziende per coprire la propria inmpossibilità (incapacità?) di intervenire su temi tanto spinosi.
La missione di una azienda è il profitto, ma la sua responsabilità sociale non può più essere ignorata e neppure sottovalutata. Le lettere aperte dei dipendenti Microsoft e Google (perché è di persone che son fatte le aziende) sono in tal senso gesti di alto valore etico poiché riaffermano la possibilità, anche nel 2018, di anteporre un principio a tutto il resto. C’è valore anche nell’etica, oltre che nella tecnologia ; c’è ancora un forte valore aggiunto nell’uomo, quando non lo si trova più nell’innovazione. E ci si trova quindi a riflettere di immigrati e di famiglie, di guerre e di pietà, anche quando sul tavolo ci si trovano soluzioni cloud e di intelligenza artificiale.
Quando la base non ci sta, i vertici sono costretti a fermarsi e riflettere: c’è l’etica oltre la tecnologia, e se la neutralità di quest’ultima non può essere messa in discussione, le scelte di chi ne dispone non possono invece trincerarsi dietro i “non sapevo”, “non pensavamo”, “non è stato sviluppato per questo”. La tecnologia è neutra, ma l’uomo ha la possibilità, e quindi il dovere, di scegliere.