Non basta più filtrare la connessione degli utenti per impedire loro di usare certi protocolli di rete, come BitTorrent. Ora è necessario infiltrarsi nella loro navigazione per comunicare quando il loro modo di usare Internet non è accettabile. Tutto questo non per mano di cybercop che operano su mandato del magistrato, ma di quei provider che hanno deciso di varcare il confine tra fornitura neutra di un servizio web e controllo dell’individuo.
Succede in Canada, dove un provider, Rogers Communications , tra i maggiori del paese, ha deciso che ci sono cose che vanno comunicate ai clienti ed utenti via web, persino se questo significa intercettare i loro dati , infilarsi nella loro connessione. Rogers ha deciso di farlo per avvisare i propri abbonati quando si avvicinano al limite di traffico Internet previsto dal loro contratto.
Non si sta parlando quindi di un re-direct della connessione, come avvenuto in clamorosi episodi del passato da parte di spregiudicati servizi web, si sta parlando di un caso nel quale il provider modifica le pagine visualizzate dall’utente per comunicargli informazioni che ritiene rilevanti. Un risultato ottenuto con sistemi di deep packet inspection già stigmatizzate da più parti, come da EFF nella sua recente inchiesta sul provider USA Comcast, ovvero con l’analisi “profonda” dei pacchetti dati degli utenti. Al centro, in particolare, il software PerfTech , che permette di modificare le pagine web con codice JavaScript mentre queste ultime vengono trasmesse al client .
Lauren Weinstein, co-fondatore del gruppo People for Internet Responsibility che si batte per la neutralità della rete , ha postato sul suo blog un eloquente screenshot (vedi qui sotto) che mostra la pagina home di Google Canada come appare in una connessione gestita da Rogers Comm., con la nota sul raggiungimento del 75% dei 75 Gigabyte totali garantiti ai sottoscrittori del servizio “Rogers Yahoo! Hi-Speed Internet”.
Come nota Weinstein, ci sono provider che si sentono in diritto di iniettare i contenuti di proprio interesse all’interno dei browser degli utenti senza chiedere il permesso né all’utente né evidentemente al sito web interessato, nel caso specifico Google. E se la visualizzazione di un messaggio di notifica riguardo la connessione appare come il minore dei mali, le possibili implicazioni di questo vero e proprio browser hijacking – pratica tipica di un malware – non sfuggono all’esperto: chi vieterà a Rogers di veicolare anche messaggi pubblicitari di terze parti per mezzo della stessa tecnologia?
“Rogers ha avuto limitazioni di banda sui suoi piani di servizio per diversi anni, e quello che stiamo cercando è un modo per notificare ai consumatori quando raggiungono il 75% di tale limite”, ha dichiarato ad ars technica il PR del provider Taanta Gupta, assicurando che non è intenzione dell’ISP “interferire con il contenuto della ricerca” sul web, usare tecniche di deep packet inspection o violare la privacy dei netizen. Ma è sempre Rogers a confermare che effettivamente quanto avvenuto è reale e che quelle sono tecnologie “in via di sperimentazione”.
Di certo c’è inoltre che Rogers, come Comcast, usa tecniche di traffic shaping per rendere inutilizzabili le applicazioni di P2P sul proprio network, pratica che comporta problemi anche con l’ impiego di quei software di VoIP basati appunto sulle comunicazioni da pari a pari come Skype. E proprio come Comcast, Rogers gestisce anche le trasmissioni delle tv via cavo, indi per cui non sorprende che molti non credano alla “sperimentazione” né alla buona fede del provider, e non riescano a considerare quanto avvenuto come un incidente senza malizia.
Ce n’è insomma abbastanza per sollevare un forte allarme sullo stato della net neutrality , e il diritto degli utenti a godere di una Internet che non sia ingabbiata secondo le sole logiche commerciali gradite ai provider di connettività. Nella rete di weblogger italiani parlano del caso Alfonso Fugetta e Stefano Quintarelli , che parlano rispettivamente di “brividi lungo la schiena” e “comportamento irrazionale” da parte dei provider nel gestire un flusso di dati che, con la buona volontà e apparati di rete adeguati, potrebbe causare meno grattacapi di quanti vengono lamentati da Comcast & compagni di merende.
Rimane infine una domanda per le società che operano in rete: “Saranno disposti i provider di servizio come Google e molti altri – si chiede Weinstein sul suo blog – dopo aver speso ingenti risorse sia in talenti che in denari nel creare e mantenere l’aspetto e la qualità dei propri servizi, a rimanere immobili mentre un qualunque ISP intercetta e modifica il loro traffico in questa maniera?”. La salvaguardia della net neutrality riguarda anche loro.
Alfonso Maruccia