I provider britannici, sulla scia di quelli statunitensi, vendono i log dei loro clienti alle aziende pubblicitarie : uno stratagemma pensato per consentire che siano veicolate inserzioni ritagliate sui reali interessi dei consumatori, basandosi su quali e quanti siti navigano su un determinato argomento.
Grazie all’ accordo raggiunto da BT, Virgin Media e Carphone Warehouse con il network pubblicitario Phorm , due terzi dei sudditi di Sua Maestà saranno seguiti durante le loro passeggiate online. Se sono appassionati di pesca vedranno inserzioni su esche; se vanno in fissa per Paris Hilton compariranno banner su profumi, chihuahua e accessori. Sempre però che navighino sui siti abbonati al network.
Lo chiamano behavioral advertising , qualcosa tipo “pubblicità comportamentale”. È il santo graal del marketing, il sogno di ogni inserzionista del web: secondo gli esperti del settore, dovrebbe garantire un miglioramento drastico dell’efficacia dei messaggi pubblicitari, con conseguente ritorno economico pressoché garantito. Secondo altri esperti dovrebbe garantire un bonus economico di non meno di 112 milioni di euro, l’anno, ai provider. Sia come sia, oggi sta diventando mainstream.
Inevitabile, per chi si trova dall’altra parte della barricata, domandarsi se tutto questo non sia invece l’ ennesima invasione della privacy del navigatore . Lo è? Phorm dice di no, e anzi spiega che il meccanismo di anonimizzazione adottato è a prova di bomba. Techdirt è di parere diverso, e cita sistemi di anonimizzazione a prova di bomba disinnescati con facilità. I provider, a scanso di equivoci, hanno pensato di permettere ai clienti di poter decidere se partecipare o meno al programma di navigazione sponsorizzata.
Luca Annunziata