La sentenza 35111/2010 della Corte di Cassazione è tornata sulla questione della responsabilità del direttore di testate telematiche , o meglio sulla sua non responsabilità: secondo quanto disposto, non risponderà di “omesso controllo” in caso di pubblicazione, sul sito da lui diretto, di contenuti diffamatori.
Il caso riguardava la testata “Merate online”, il cui direttore, iscritto all’albo dei giornalisti, veniva accusato di omesso controllo per la pubblicazione di una lettera ritenuta diffamatoria nei confronti dell’ex ministro della Giustizia Robeto Castelli e di un suo collaboratore. Il reato era stato ritenuto prescritto (quindi senza assoluzione) dalla Corte di Appello di Milano: fatto che lasciava pendenti le questioni relative al risarcimento dovuto al querelante.
Per questo, il difensore aveva deciso di far ricorso alla Corte superiore per ottenere una senza non ambigua: il Giudice ha ora deciso che il reato di cui all’articolo 57 del codice penale sarebbe inapplicabile in quanto previsto solo per la carta stampata . Stessa motivazione aveva in passato salvaguardato i direttori delle testate televisive (intervenendo solo in seguito il legislatore a correggere questa impostazione).
La Corte ha inoltre ribadito il concetto di non responsabilità degli intermediari previsto (a meno che non siano a conoscenza del contenuto criminoso del messaggio e non abbiano provveduto ex post alla sua rimozione, rispondendo in caso contrario di “concorso in reato” e non di diffamazione) equiparando, di fatto, la situazione del direttore responsabile di una testata online con quella di un blogger o dell’amministratore di un forum.
A tal proposito Marco Pierani, rappresentante dell’associazione Altroconsumo, osserva come tale sentenza mostri le contraddizione tra la legge 62/01, che equipare i siti che forniscono informazione quotidiana ai veri e propri giornali cartacei (con tutti i relativi obblighi) e il D. Lsvo 9.4.2003 n. 70, nella parte in cui questo “precisa che la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste” da tale legge: l’esclusione della responsabilità si insinuerebbe nell’impianto stesso di tale logica.
La sentenza non sembra però stabilire con chiarezza assoluta la questione della responsabilità del direttore di una testate online: vari osservatori hanno espresso giudizi in parte contrastanti nella convinzione più o meno sfumata che la portata della sentenza possa essere limitata alla non equiparazione come prova di un testo digitale rispetto ad uno stampato.
In effetti, la stessa vicenda è resa più complicata dal fatto che Merate online si sia difesa affermando di non saper nulla della missiva incriminata e di ritenere possibile che vi sia stato “un accesso non autorizzato da parte di un hacker”, fatto per cui ha presentato denuncia contro ignoti alla Procura di Lecco. In Tribunale, d’altronde, è stato presentata solo una stampa dell’ arma del delitto , neanche certificato da notaio o pubblico ufficiale.
Per Alessandro Galimberti, per esempio, il caso ruoterebbe anche attorno a questo punto: “il ricorso per l’annullamento, accolto, era fondato su un motivo di merito (l’impossibilità di dimostrare la genuinità del file diffamatorio, atteso il mancato sequestro del sito e relativa perizia) e soprattutto sull’interpretazione restrittiva dell’articolo 57 del codice penale: questa norma stabilisce la responsabilità omissiva per colpa del direttore di stampa periodica ”
Il solo fatto di essere “stampabile”, peraltro, non sembra essere una discriminante sufficiente a distinguere le due fattispecie.
In questo senso, per esempio, l’ analisi dell’avv. Fulvio Sarzana di S. Ippolito: “un articolo estratto da un sito non può essere uguale, dal punto di vista della prova, ad un articolo di carta che prova senza ombra di dubbio ed in maniera corporea la diffamazione”. Mentre sarebbe ancora tutto in ballo il discorso circa la non equivalenza tra stampa e testate digitali Internet. Sarzana poi conclude: “ho l’impressione che la sentenza sia fortemente contraddittoria in alcuni punti e sia motivata in altri con richiami formalistici inadeguati alla realtà dei fatti del mondo telematico”. Insomma, restano parecchi punti da chiarire in questa vicenda, che mette ancora una volta sotto i riflettori la complessità della gestione dei nuovi media con norme scritte e pensate per i vecchi.
Claudio Tamburrino