Massima segretezza su quello che avviene nel Googleplex, anche se trasfigurato in un racconto di fantasia, e un invito alla delazione a tutti i dipendenti che abbiano informazioni su colleghi che parlino troppo: Google, al momento della firma del contratto con i propri dipendenti, impone loro delle clausole di non divulgazione. Sono ora oggetto di una denuncia da parte di un dipendente identificato come un Product Manager assunto nel 2014, che vorrebbe trascinare con sé tutti i lavoratori di Google in una class action depositata nello stato della California.
La denuncia , ottenuta da The Information , attacca le politiche aziendali definite retoricamente in evidente contrasto con il motto della Grande G, “Don’t be evil”: ai Googler, ma anche agli ex dipendenti, è richiesto di adeguarsi a quelle che vengono definiti “accordi di riservatezza, linee guida e pratiche illegali”, che comprimerebbero “il loro diritto di parola”, compreso quello di agire da cani da guardia su quanto avviene nell’azienda, diffondendo delle soffiate su argomenti di cui l’opinione pubblica e le autorità dovrebbero essere informate.
Il contratto che i dipendenti devono rispettare, riferisce l’anonimo impiegato di Google, proibisce loro di “parlare – anche internamente all’azienda – di condotte illegali e di difetti dei prodotti potenzialmente pericolosi, perché queste dichiarazioni potrebbero un giorno emergere nel contesto di azioni legali o potrebbero giungere alle autorità governative”. Divieto di comunicare, inoltre, con rappresentanti delle istituzioni, legali o la stampa riguardo a eventuali illeciti commessi nel contesto dell’azienda: evidentemente la Grande G vuole gestire in maniera coerente i propri rapporti con la legge e con i media, adottando strategie studiate dalle divisioni dedicate. Inoltre i Googler non possono riferire a potenziali nuovi datori di lavoro quanto guadagnano, le mansioni svolte, né possono illustrare le loro competenze e la loro esperienza presso Mountain View.
La denuncia depositata dal Googler, si precisa, non ha nulla a che vedere con “segreti aziendali, la privacy dei consumatori o le informazioni che la legge prevede restino riservate” e non è consentito nemmeno trarre ispirazione dal proprio lavoro per sbizzarrirsi in opere di narrativa : chi desiderasse scrivere “un racconto incentrato su un personaggio che lavora presso una azienda IT nella Silicon Valley” dovrebbe ottenere il consenso di Google al momento di sviluppare la trama e una volta completata la stesura definitiva.
Secondo l’attore della denuncia tutto ciò che avviene a Mountain View sarebbe segreto e non dovrebbe essere rivelato, salvo previa autorizzazione, pena la minaccia del licenziamento e lo sguinzagliamento di torme di avvocati.
L’accusa ha scelto di non identificarsi con alcun nome proprio in vista del clima che regna in azienda: nel testo della denuncia si spiega che Brian Katz, che a Google ricopre la carica di Director of Global Investigations, Intelligence & Protective Services di Google, avrebbe “informato in maniera non veritiera circa 65mila dipendenti del fatto che il denunciante sarebbe stato licenziato per aver fatto trapelare certe informazioni alla stampa” a mo ‘ di deterrente per altri dipendenti che meditassero di fare altrettanto.
A far valere questo regime di segretezza, oltre ala minaccia di azioni legale e licenziamento, ci sarebbero indagini interne e il controllo sociale mediato dal programma denominato Stopleaks , per individuare fughe di notizie, anche accidentali, dentro e fuori dalla Rete, e per comunicare in maniera tempestiva “cose strane che si osservino o che capitino a ciascuno – come qualcuno che ponga domande molto dettagliate riguardo a progetti in corso o riguardo al lavoro”.
L’anonimo product manager ritiene che le politiche interne di Google siano illegali in quanto ostacolino il diritto dei dipendenti alla mobilità lavorativa e agiscano in maniera troppo invadente sugli ex dipendenti, impediscano la circolazione di informazioni potenzialmente utili alla società civile e alle autorità , per 12 capi d’accusa formulati in base alle leggi della California. Ogni dipendente potrebbe rivendicare fino a 14.600 dollari nel caso in cui Google venisse ritenuta colpevole, per un risarcimento totale pari a 3,8 miliardi di dollari.
La Grande G, dal canto suo, ha già reso noto di ritenere la denuncia senza fondamento : “La trasparenza è un elemento fondamentale della nostra cultura aziendale – ha dichiarato Google – E gli obblighi di riservatezza per i dipendenti sono studiati per proteggere le informazioni aziendali, senza impedire loro di rivelare informazioni riguardo alle condizioni di lavoro o esprimere preoccupazioni sul posto di lavoro”.
Gaia Bottà