Roma – Roger M. Townsend , avvocato di Seattle, ha avviato venerdì scorso una class action a nome degli utenti Skype dello Stato di Washington per contestare la pratica della compagnia di appropriarsi dei crediti di quegli account che dopo 180 giorni di inattività giudichi abbandonati.
Nel documento si rivendica come tali account vadano considerati alla stregua di “gift certificates” dell’operatore commerciale, in quello Stato sono rimborsabili per legge e quelli che costituiscono surplus vanno in beneficenza dopo 24 mesi di immobilità, quindi l’azienda dovrebbe restituire i soldi invece di trattenerli. Il legale afferma inoltre che dai dati di registrazione in suo possesso Skype ha modo di rintracciare gli utenti e assolvere ai propri obblighi.
Esiste un precedente in Germania nel 2006 , l’Alta Corte Regionale di Monaco di Baviera aveva dato l’altolà dichiarando invalide svariate clausole del contratto ma la faccenda non è però così semplice in quanto nel sito ufficiale di Skype si legge al punto 18.5 delle Condizioni del Servizio che “saranno governate e interpretate in
conformità alle leggi del Lussemburgo e saranno soggette alla giurisdizione dei tribunali con sede in Lussemburgo”.
Eccezioni di competenza territoriali a parte resta l’incognita di veder riconosciuto o meno agli account lo status richiesto da Townsend, in caso di suo successo probabili altre class actions analoghe in altri stati degli USA con legislazione compatibile .
Ora spetta alla Corte Superiore stabilire chi abbia ragione ed eventualmente assecondare le pretesa di vedersi rimborsato tre volte l’importo del danno, le spese legali e l’interruzione di questa procedura da parte di Skype.
“Skype Journal” ipotizza un impatto alquanto simbolico visti la esigua percentuale di utenti rimasti col vecchio sistema rispetto al “pay-as-you-go” pubblicizzato ormai da anni.
Fabrizio Bartoloni