Un secondo stringato comunicato che fa retromarcia. Ma che in coda mantiene ferme le convinzioni di Viale Mazzini: “La Rai – si legge in un testo diffuso nel primo pomeriggio – a seguito di un confronto avvenuto questa mattina con il Ministero dello Sviluppo Economico, precisa che non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone”.
Secondo il comunicato, “La lettera inviata dalla Direzione Abbonamenti Rai si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti abbiamo già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più’ televisori”. Dunque, se nella stanza del direttore c’è una TV e l’ufficio contabilità ha già provveduto a pagare il canone, niente altro è dovuto. In ogni caso, un buon passo in avanti rispetto alle ipotesi circolate in questi giorni.
Stando all’interpretazione della Rai, la versione concordata con il ministero “limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (BBC…) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone”.
Il comunicato si chiude con una precisazione che tuttavia non sgombra il campo dai dubbi che da anni circondano il canone: “Si ribadisce pertanto che in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore”. Ovvero, resta in piedi il sillogismo secondo cui chi acquista una TV lo fa per guardare i canali Rai: un concetto che aveva senso 50 o 60 anni fa quando le uniche trasmissioni disponibili erano quelle della Radio Audizioni Italiane , ma che oggi – nell’epoca delle webTV e dell’UGC – appare una formulazione dell’imposta probabilmente non più al passo coi tempi. E gli spot lanciati pochi giorni fa, comunque, sono già preistoria.
Luca Annunziata