Roma – Le stragi di settembre hanno avuto, tra le tante ripercussioni negative, anche quella di favorire i progetti di tutti quei gruppi che, da sempre, si battono per un maggiore controllo della comunicazione e di far diminuire, parallelamente, l’influenza di coloro che vorrebbero vivere in una società libera dai sempre più ricorrenti incubi orwelliani.
L’unico aspetto positivo della faccenda, volendo essere ottimisti, è stato quello di aver definitivamente sfatato la favola degli Stati Uniti all’avanguardia nel rispetto della riservatezza. Ma questa non è una notizia del tutto nuova.
Nell’annuale rapporto sull’andamento delle intercettazioni – quelle “legali” – l’Amministrazione degli Usa, ha rivelato che nel 2000 ne sono state autorizzate 1190 (contro le 1350 dell’anno precedente), il 70% delle quali riguardavano indagini legate al traffico della droga.
La novità maggiore sta nel fatto che la maggioranza (il 60%) di tali intercettazioni hanno interessato “portable devices, carried by/on individual”, vale a dire telefoni cellulari e cercapersone. Stando a questi dati ufficiali, solo in 22 casi gli investigatori si sono trovati a fare i conti con trasmissioni criptate, ma viene chiaramente specificato che ciò non ha impedito di portare a buon fine l’ascolto, alla faccia della pretesa inviolabilità di alcuni sistemi di cifratura. Sempre secondo queste statistiche, negli ultimi dieci anni il numero totale di intercettazioni è cresciuto di circa il 36%.
È interessante notare che, nonostante quello che spesso si legge a proposito dell’uso che di Internet farebbero i criminali di tutte le risme, le intercettazioni “elettroniche”, quelle che comprendono fax, pager ed e-mail, sono state solo 89 su 1190, vale a dire un misero 7% del totale.
Se le intercettazioni di cui si occupa il rapporto appena citato riguardano veri o presunti criminali, molto peggio se la passano i semplici lavoratori, almeno stando ad un recente studio della “American Management Association” (AMA).
Secondo quanto pubblicato nel suo rapporto annuale diffuso lo scorso aprile, il 77,7% delle maggiori compagnie statunitensi adotta una qualche forma di controllo sulle comunicazioni e le attività dei propri dipendenti. Tra le società più ficcanaso, l’82% controlla l’uso che della comunicazione elettronica fanno i loro impiegati. Il 40% di queste utilizza anche programmi che bloccano la connessione a particolari indirizzi di Rete. Inoltre il 25% delle compagnie afferma di aver licenziato impiegati che sgarravano e il 65% di aver sanzionato in qualche modo l’abuso di tali servizi. Altre forme comuni di controllo riguardano l’ascolto delle telefonate e l’uso di telecamere a circuito chiuso.
Per fortuna, l’88% delle imprese avverte i propri dipendenti delle misure di controllo adottate. Le motivazioni che spingono ad usare questi sistemi di controllo vengono di solito fatte risalire a problemi legali, al controllo della produttività ed a ragioni di sicurezza. Tali pratiche sono in decisa crescita, visto che nel 1997, le imprese che dichiaravano di adottare forme di controllo di questo tipo erano il 35% del totale. Da sottolineare che solo lo scorso anno è stata introdotta negli Usa una legge che obbliga i datori di lavoro di segnalare ai propri dipendenti le misure di sorveglianza adottate.
Passando dai potenziali criminali e dai lavoratori scansafatiche ai semplici cittadini, vale la pena di notare un aspetto, spesso dimenticato, legato alla cosiddetta “fine dell’Internet a gratis”.
La quasi totalità dei servizi che stanno chiudendo o che si stanno trasformando in servizi a pagamento, al momento della loro nascita aveva raccolto nei loro database una serie di notizie relative ai propri utenti, informazioni più o meno estese, che potevano andare da un semplice indirizzo di posta elettronica a pagine intere di questionari su gusti e consumi.
Nessuno, tra i vari servizi che in questi ultimi mesi hanno smesso di funzionare gratis, si è preso il disturbo di specificare che fine faranno i dati degli utenti che avevano barattato un po’ della loro privacy in cambio di un indirizzo di e-mail.
Correttezza vorrebbe che tali dati venissero cancellati ma, chissà perché, abbiamo qualche dubbio in proposito.