I ransomware, moderna piaga informatica, minaccia sempre più concreta e dalla portata estesa. Un fenomeno di cui si è parlato con frequenza sempre maggiore negli ultimi anni in conseguenza a un numero di attacchi in costante aumento. Torniamo a farlo oggi in seguito alla pubblicazione del report Global Security Attitude Survey 2020 compilato da CrowdStrike.
Più di una vittima su quattro paga il riscatto dei ransomware
Il dato più interessante che ne emerge è quello relativo alla percentuale di coloro che scelgono di pagare il riscatto chiesto in modo da rientrare in controllo dei propri dati in seguito alla compromissione: si attesta al 27%. Più di una vittima su quattro accetta dunque di mettere mano al portafogli per evitare di perdere documenti e database, per tornare operativa nel minor tempo possibile o per scongiurare che gli autori dell’operazione possano diffondere le informazioni.
Nonostante il possibile rischio di sanzioni, tra chi segnala un attacco ransomware il 27% sceglie di pagare il riscatto, sborsando ognuno una media pari a 1,1 milioni di dollari. Il confronto tra zone geografiche mostra solo una modesta disparità: la regione Asia Pacifico è la più colpita con somme medie da 1,18 milioni di dollari. L’EMEA si ferma a 1,06 milioni di dollari, mentre negli Stati Uniti è ancora inferiore con 1 milione di dollari versato a chi esegue l’attacco.
Le autorità sconsigliano di farlo per ovvi motivi: così si alimenta il business dei cybercriminali che generano profitti in modo illecito e li si stimola a proseguire con gli attacchi prendendo di mira altre vittime. Non c’è inoltre alcuna garanzia che in seguito al pagamento (sempre in criptovalute come Bitcoin e di conseguenza non tracciabile) chi si trova all’altro capo della trattativa mantenga la parola data.