La condivisione di file in violazione del diritto d’autore? Il problema non sono gli armadietti digitali nei quali questi contenuti vengono stoccati dagli utenti, ma piuttosto gli archivi che ne ricostruiscono la sistemazione e indirizzano i cittadini della rete verso i giusti cassetti. Parola di RapidShare, che offre il proprio parere alle autorità statunitensi: il business innovativo del cloud storage non può essere arrestato per colpa di chi ne abusa.
Il servizio di file hosting svizzero, in un processo di avvicinamento ad autorità statunitensi che incutono sempre più timore , si è espresso nell’ambito di una consultazione indetta dall’Office of the U.S. Intellectual Property Enforcement Coordinator. Il soffocamento della pirateria, suggerisce RapidShare, risiede nella collaborazione di tutti i soggetti coinvolti nella circolazione dei contenuti in Rete , dai fornitori di connettività, passando per gli intermediari dei pagamenti e gli inserzionisti, senza dimenticare i servizi di cloud storage che come RapidShare stesso non negano la propria disponibilità .
La repressione vera e propria, invece, piuttosto che sulle piattaforme che offrono in maniera neutrale ospitalità ai contenuti postati dagli utenti, dovrebbe invece concentrarsi su quei “siti di terze parti che agevolano la distribuzione indiscriminata e di massa di contenuti protetti dal copyright”.
Il pensiero sembrerebbe correre subito ai motori di ricerca specializzati, che operano esplicitamente a favore di coloro che vogliano rintracciare in rete un certo contenuto, servizi terzi che garantiscono l’orientamento nello sconfinato e multiforme archivio costituito dalle piattaforme di file hosting e riempito dai file caricati dagli utenti. Mediafire, altro servizio di file hosting, ha ad esempio preso provvedimenti in questo senso, rendendo più difficoltoso il raggiungimento diretto dei file passando dei link suggeriti da uno di questi metamotori di ricerca. Ma RapidShare sembra puntare il dito piuttosto contro certi, fantomatici servizi che renderebbero “pubblicamente disponibili le credenziali di accesso a file cifrati”, descritti come passepartout per accedere a contenuti impossibili da reperire se non dall’utente che li ha caricati .
Salvo poi chiarire: “L’unico modo in cui soggetti terzi possono accedere a un contenuto caricato su RapidShare è che un utente renda disponibili le proprie credenziali postandole su dei siti”. Siti descritti dal servizio di file hosting svizzero come “molto sofisticati”.
Non è dato sapere se quella di RapidShare sia una semplificazione operata a favore di una agile comunicazione con le autorità statunitensi o una soluzione diplomatica per non chiamare in causa soggetti con il servizio di file hosting condividono interessi e istanze. Certo è che non vengono esplicitamente nominati né i metamotori di ricerca, né i motori di ricerca generalisti (il cui rapporto con i cyberlocker è naturalmente contrastato ), né gli utenti che sfruttano RapidShare per caricare dei contenuti a cui vogliono garantire la massima diffusione, disseminando online il link presso cui rinvenire la risorsa ed eventuali password che stanno a presidio del contenuto, magari a mezzo molto poco sofisticati blog personali.
Gaia Bottà