Continua la serie positiva delle vittorie di RapidShare in tribunale. L’ultimo caso – conclusosi con la sconfitta dell’accusa e il trionfo su tutta la linea delle ragioni del servizio di file hosting – riguarda ancora una volta il distributore cinematografico Capelight Pictures , che già aveva provato a inchiodare RapidShare alle sue presunte responsabilità sui contenuti nei mesi passati.
L’appello dello scorso maggio era finito bene per il servizio di hosting dopo la condanna in primo grado, e la nuova sentenza conferma quella di appello e va anche oltre: Capelight Pictures non può pretendere alcuna cancellazione proattiva o l’implementazione meccanismi di filtri sui server di RapidShare perché filtrare termini inglesi molto comuni porterebbe alla cancellazione di un’enorme quantità di contenuti legittimi.
Una simile situazione renderebbe RapidShare responsabile nei confronti dei suoi utenti, che a quel punto potrebbero anche decidere di denunciare la società per la sua condotta. E comunque, ha stabilito la corte di appello con la sua ultima decisione, i filtri non s’hanno da fare perché impattano direttamente sul diritto garantito agli utenti di conservare copie private dei propri contenuti legittimamente acquistati.
La decisione della corte viene naturalmente accolta con favore dai legali di RapidShare, con l’avvocato Daniel Raimer che sottolinea come essa rappresenti un altro passo nella giusta direzione: “La pratica in precedenza molto comune tra i detentori del copyright di denunciare RapidShare sulla base dell’opportunità di guadagnarci qualcosa – ha detto Raimer – equivocando le realtà in cui il servizio opera e dimostrando disprezzo per il suo modello di business non porterà più ad alcun risultato”.
Il vento pare infatti mutato per le sorti legali di RapidShare, un business che solo poco tempo addietro pareva sul punto di crollare sotto le richieste dell’industria e le misure anti-pirateria draconiane imposte ai suoi utenti e che ora va invece come un treno alla vittoria nei tribunali tedeschi ma anche statunitensi . E parte addirittura al contrattacco dei troll della proprietà intellettuale.
Alfonso Maruccia