Non a tutti è concesso vivere della luce riflessa di un colosso come RapidShare, non tutti i detentori dei domini che ricalchino quello del servizio di hosting possono frapporsi fra il cittadino della rete e i file che desidera ottenere, somministrando pubblicità in cambio del solo ruolo di intermediazione.
Da mesi RapidShare si scaglia contro i propri emuli in rete: servizi che abuserebbero del trademark del noto servizio di hosting, servizi sovente offerti gratuitamente a coloro che sopportino di districarsi fra selve di chiassosa pubblicità e che spesso fungono da motore di ricerca non generalista sopperendo ad una funzione non disponibile presso RapidShare stesso. Consentono cioè ad utenti affamati di contenuti di rintracciare sui server di RapidShare e altrove file caricati da altri utenti. File caricati dai netizen lecitamente, file caricati in violazione del copyright.
Si tratta dunque di servizi spesso sgraditi ai detentori dei diritti, almeno quanto RapidShare e gli usi che i netizen ne possono fare per condividere contenuti protetti. Tacciato infatti dall’industria dei contenuti di rappresentare uno dei principali nemici del copyright , nonostante abbia collezionato qualche disfatta ma anche qualche vittoria , il servizio di hosting ha cominciato a collaborare con i detentori dei diritti. È in questo contesto che RapidShare ha avanzato le proprie numerose rivendicazioni: rivolgendosi direttamente agli intestatari dei domini chiedendone informalmente la consegna, denunciando la presunta violazione all’ Arbitration and Mediation Center della Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO), che si occupa di dirimere le controversie in materia di trademark e domini.
RapidShare, in mancanza di una risposta diretta da coloro che possiedono i domini oggetto del contendere, accusa i propri emuli di essere “progettati per supportare gli utenti del web che intendono violare il copyright aiutandoli a rintracciare e condividere documenti protetti dal diritto d’autore”.
I nodi sciolti finora sono numerosi la maggior parte dei quali risolti a favore di RapidShare con un passaggio di mano del dominio . È accaduto per domini quali rapidshare123.com o rapidshare-warez.net , ora non raggiungibili.
Non è stato invece deciso per la consegna del dominio nel caso che ha coinvolto rapidbay.net : i panelist di WIPO hanno stabilito che l’uso nel dominio della parola “rapid” non è abbastanza per instillare negli utenti la convinzione che ci sia una sovrapposizione con RapidShare, tantomeno affiancata da una parola come “bay”. Si tratta di una parola forse evocativa di realtà di condivisione come The Pirate Bay, contingenza che però Rapidshare non sembra aver segnalato: “la parola bay non somiglia graficamente né suona come la parola share – si spiega nel documento WIPO – e l’accusa non ha suggerito che bay abbia un qualche significato particolare che possa indurre un utente Internet a stabilire qualche tipo di collegamento mentale tra il nome di dominio e RapidShare (o il concetto di sharing )”.
Gaia Bottà