Gli Italiani, pur non rinunciando alla televisione ed agli altri mezzi tradizionali veicolo dell’informazione, stanno sempre di più sfruttando gli strumenti della Rete per crearsi autonomamente una sorta di propria rassegna stampa quotidiana, senza disdegnare neanche di accedere a contenuti dietro pagamento. A dirlo è l’indagine conoscitiva dal titolo “Informazione e internet in Italia. Modelli di business, consumi, professioni” pubblicata da Agcom in seguito alla delibera n. 146/15/CONS: l’authority italiana ha cercato di esaminare ogni componente del sistema dell’informazione nazionale , dai cambiamenti conseguenti alla disponibilità dei nuovi mezzi alla trasformazione sia dal lato della domanda che dell’offerta, passando per i modelli di business fino ad arrivare alla natura stessa della professione giornalistica.
Agcom, insomma, ha cercato di scattare una fotografia della situazione attuale del settore dell’informazione online, in attesa dell’attuazione delle annunciate novità di Apple e Facebook , rispettivamente Apple News (per cui Cupertino sembra anche disposta ad assumere giornalisti professionisti per migliorarne ed organizzarne l’offerta) e Instant Articles, entrambe indirizzate a simpatizzare con gli editori ponendosi in diretta concorrenza con gli aggregatori di notizie online e in particolare nel tentativo di rosicchiare lo spazio attualmente detenuto da Google News.
Per farlo Agcom ha impiegato diverse fonti per coprire l’intera filiera dell’informazione, tra cui un’apposita rilevazione condotta con l’Osservatorio sul giornalismo su un ampio campione di professionisti del settore, un’investigazione presso tutti gli editori nazionali e locali che producono informazione in Italia, nonché i dati ed i sondaggi condotti dal Reuters Institute for the Study of Journalism presso l’Università di Oxford.
Quello che emerge in generale dalla ricerca è che la televisione resta il mezzo preferito dagli italiani per rimanere informati (ancora nell’84 per cento dei casi, con il 50 per cento che riferisce di fruire anche dei giornali tradizionali, ed il 31 che indica invece anche la radio), mentre
il web si pone al terzo posto come mezzo di informazione. Inoltre gli utenti stanno abbandonando progressivamente le consultazioni online da PC per usufruire sempre dei dispositivi mobile , in linea con le tendenze rilevate per altri parametri, e si dicono anche disposti a pagare per le news .
Per quanto infatti il PC sia ancora il principale dispositivo utilizzato, al secondo posto ci sono smartphone e tablet: dal 2013 al 2014 il computer propriamente detto ha visto a livello mondiale ridurre la penetrazione di ben 23 punti percentuali, a fronte di una crescita dei dispositivi mobile dell’11 per cento.
Nel dettaglio l’ampio studio ha rilevato come ci si trovi in un momento di discontinuità “conseguente ad un vero e proprio salto tecnologico” caratterizzato in modo specifico dalla personalizzazione dell’offerta da parte del singolo consumatore.
In questo momento di cambiamento, peraltro, si possono anche esplorare nuovi metodi di business: per esempio il 58 per cento degli italiani intervistati riferisce di aver pagato una tantum per usufruire di notizie in Rete nell’ultimo anno, mentre il 52 per cento dichiara di aver sottoscritto un abbonamento.
Nonostante queste nuove (apparenti) opportunità, il settore dell’editoria non appare godere di buona salute: a livello nazionale gli investimenti fanno segnare un meno 3 per cento e addirittura gli editori locali segnano un calo di oltre 10 punti percentuali.
Contemporaneamente causa ed effetto di questo vuoto appare essere Internet: grazie alla diffusione delle dotazioni tecnologiche il comparto dell’editoria online ha di recente registrato in Italia notevoli tassi di crescita di diffusione e ha determinato un’ accelerazione nella fruizione dei contenuti , causando da un lato una riduzione del tempo di vita delle notizie e dall’altro costretto i media a ripensare le modalità con cui queste vengono prodotte.
Dal punto di vista delle nuove forme di distribuzione e fruizione dei contenuti, secondo lo studio sono di particolare rilevanza le forme di personalizzazione generate da servizi di alert (via email, feed RSS o applicazioni di messaggistica istantanea), dalle possibilità di selezione delle fonti informative da parte dell’utente stesso, nonché delle modalità stesse di visualizzazione: in questo senso appaiono dunque fondamentali gli aggregatori di notizie come Google News o app come Flipboard. Senza dimenticare lo sviluppo e la vita delle notizie sui social network.
Sia aggregatori che social network (considerati come fonte principale di approvvigionamento dell’informazione rispettivamente dal 10 e dal 5 per cento degli intervistati), d’altra parte, sono caratterizzati dal medesimo modello di business: prodotti e servizi offerti gratuitamente con la fonte di ricavo costituita prevalentemente dall’advertising spesso targettizzato.
Per quanto riguarda invece la produzione in senso stretto, si segnala la presenza di centinaia di editori nativi digitali , sorti in prevalenza dal 2007 in poi e caratterizzati mediamente da poco più di 400mila euro l’anno di fatturato e meno di 10 dipendenti: questi riescono peraltro a figurare anche tra i primi 40 siti per il mese di gennaio 2015 nella speciale classifica di Audiweb, con 18 testate native digitali nella categoria News&Information (anche se nelle prime posizioni figurano i colossi tradizionali come La Repubblica ed il Corriere della Sera). La prima testata nativa digitale è Citynews, con un numero di utenti unici pari a circa 5 milioni al mese (meno della metà di Repubblica) e quasi 54 milioni di pagine viste (contro 412 milioni di Repubblica).
Claudio Tamburrino