Digitalizzata l’Italia, digitalizziamo gli italiani: se il rapporto DESI 2020 (pdf) non dice esattamente questo, poco di manca. Il rapporto DESI propone un “Indice di digitalizzazione dell’economia e della società“, consentendo così di creare un benchmark di confronto tra i vari Paesi europei per suggerire ad ognuno gli elementi sui quali occorre investire con maggior assiduità. La fotografia della situazione italiana è una stroncatura che fa male perché cristallizza le colpe che l’Italia ha non tanto come Stato, ma come insieme di cittadini.
L’indice DESI boccia gli italiani
Il rapporto non boccia tanto l’Italia, insomma, quanto più gli italiani. Sarebbe facile dar colpa ad un sistema paese che poco ha fatto per cambiare questa situazione, tenendo milioni di utenti più arroccati sulle dinamiche televisive che non sulla necessaria alfabetizzazione informatica. Ma la realtà è che sarebbe più utile un mea culpa personale da parte di tutti coloro i quali, per inerzia o per pigrizia, non hanno colto le potenzialità dell’innovazione tecnologica e nel tempo hanno soltanto disseminato diffidenza nei confronti di una inevitabile rivoluzione. Ora se ne paga pegno in una pagella dalle parole dure nei nostri confronti:
I dati precedenti la pandemia indicano che il paese è in una buona posizione in termini di preparazione al 5G, in quanto sono state assegnate tutte le bande pioniere e sono stati lanciati i primi servizi commerciali. Sussistono carenze significative per quanto riguarda il capitale umano. Rispetto alla media UE, l’Italia registra livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi. Anche il numero di specialisti e laureati nel settore TIC è molto al di sotto della media UE. Queste carenze in termini di competenze digitali si riflettono nel modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. Solo il 74% degli italiani usa abitualmente Internet. Sebbene il paese si collochi in una posizione relativamente alta nell’offerta di servizi pubblici digitali (egovernment), il loro utilizzo rimane scarso. Analogamente, le imprese italiane presentano ritardi nell’utilizzo di tecnologie come il cloud e i big data, così come per quanto riguarda l’adozione del commercio elettronico.
Sia pur se con rare eccellenze, l’Italia è promossa nel 5G, nell’e-gov e nel numero di servizi attivati; bocciate le aziende, in ritardo sul cloud; bocciati i cittadini, scarsamente connessi; bocciato l’e-commerce, scarsamente utilizzato. Insomma: c’è molto da fare e ci sono ampi spazi di crescita in un ambito dove grandi sono le potenzialità economiche e sociali da sfruttare.
Il risultato è un doppio passo indietro: l’Italia era 25esima in Europa nell’indice DESI nel 2018 (su 28 stati analizzati), è salita in 23esima posizione nel 2019 sulla fiducia nei confronti del nuovo piano di sviluppo annunciato, torna 25esima quest’anno vedendo il “capitale umano” ai minimi termini come maggior elemento penalizzante.
Tutto ciò è tuttavia relativo alla fase pre-pandemia, dunque l’indice DESI 2021 sarà particolarmente interessante per capire come l’Italia abbia saputo reagire allo shock della crisi e del lockdown. Le prime indicazioni provenienti dall’analisi europea sembrano incoraggianti, premiando l’immediatezza con cui il Paese ha saputo avviare una serie di servizi, tra cui quelli per l’istruzione da remoto o il contrasto tramite l’uso dei dati. Ancora non è chiaro però il “come” (e tutti ben conosciamo quali difficoltà ci siano state), qualcosa che si potrà capire solo nei mesi a venire. E chissà se anche l’implementazione del progetto Immuni potrà giovare al pagellino DESI. Chissà sei dati Comscore sull’e-commerce non possano essere una buona notizia. Chissà se il bicchiere mezzo pieno potrà pesare per il rilancio del paese o se le debolezze identificate nel piano Colao saranno un argine troppo complesso da affrontare.
I voti di un indice statistico contano poco, a questo punto: questa è la realtà e siamo di fronte ad un periodo di grande cambiamento. La realtà con cui affrontiamo questa fase è quella di un paese con un’età media alta, una scolarizzazione media bassa, un’alfabetizzazione informatica del tutto parziale e inadeguata. Un paese attanagliato per troppo tempo dal digital divide e da politiche lontane dal digitale, aspetti che ora saranno scontati pesantemente e sui quali è difficile agire con risultati di breve periodo. Ma occorre farlo, subito, perché qui non si tratta di bocciare il passato: si tratta di promuovere le aspettative di futuro.