I provider saranno tenuti ad agire da messaggeri dell’industria dei contenuti, a snocciolare i dettagli di coloro che impersonano indirizzi IP colti in recidiva a violare il diritto d’autore: così le autorità del Regno Unito meditano di sciogliere il nodo dello scambio illegale di contenuti online.
Non solo banda larga e banda per tutti : la versione preliminare del report Digital Britain , emesso dai rappresentanti del governo del Regno Unito, segnerà il passo e detterà le strategie con cui verrà affrontata la questione dello sharing illegale. I provider e l’industria dei contenuti non hanno saputo raggiungere un accordo efficace per contenere i flussi di materiale che scorrono online senza il consenso degli autori: ispirandosi al modello francese , i provider dell’Isola avevano adottato un sistema di autoregolamentazione che prevedeva l’invio di comunicazioni volte a scoraggiare gli sharer più incalliti. Ma non ha funzionato, i provider scontenti del nuovo ruolo che avrebbero dovuto interpretare, i colossi dei contenuti insoddisfatti perché sui provider non gravano abbastanza responsabilità nel contrasto della condivisione illegale. Nei giorni scorsi il ministro della Proprietà Intellettuale David Lammy ha escluso l’eventualità di cristallizzare in una legge obblighi e responsabilità: il report emesso dal governo sembra contraddirlo.
L’autore del report Lord Carter non intende rinunciare al modello alla francese ma propone di addolcirlo : i provider dovrebbero essere chiamati a veicolare dei messaggi per conto dell’industria dei contenuti. Ma si tratterà di soli avvertimenti: non ci sarà la minaccia della disconnessione a pendere sul capo dei cittadini della rete britannici. Senza il coronamento della disconnessione le stime dell’industria dei contenuti, secondo cui le missive sarebbero efficaci per far desistere anche i condivisori più accaniti, potrebbero dover essere riformulate.
A ricondurre sulla retta via i cittadini della rete che abusano della propria connessione sarà l’opera di una Rights Agency , un’authority che si occuperà di mediare fra le istanze dell’industria dei contenuti e le istanze dei provider per raggiungere accordi riguardo alle campagne di sensibilizzazione al consumo legale di contenuti e riguardo alle strategie per prevenire le violazioni. Compito dalla Rights Agency sarà altresì “abilitare soluzioni tecniche al supporto del copyright che siano efficaci sia per il consumatore sia per il creatore di contenuti”. C’è chi, come gli attivisti di Open Rights Group , vede stagliarsi all’orizzonte sistemi DRM che autorevoli commentatori come Ed Felten davano ormai per archiviati.
A supporto di campagne di sensibilizzazione e di non meglio precisate “soluzioni tecniche”, ci sarà l’obbligo per i provider di “raccogliere informazioni anonimizzate relative a coloro che, sulla base delle segnalazioni inoltrate, si riscontra abbiano violato ripetutamente e in maniera grave il diritto d’autore, informazioni che dovranno essere rese disponibili al detentore dei diritti all’atto della ricezione di un ordine di un tribunale”. Oltre a rappresentare un problema di costi che graveranno sugli ISP, denunciano in molti, un tale sistema di monitoraggio rischia di attentare alla riservatezza dei cittadini della rete.
Potrebbero essere i provider e l’industria a dover alimentare gli sforzi profusi dalle istituzioni: nel report si fa accenno all’eventualità di imporre un “contributo modesto e proporzionato” agli attori del mercato. C’è chi già parla di una tassa che indirettamente si ripercuoterà sui cittadini della rete. Ma gli attori del mercato potrebbero ritagliarsi nuovi spazi per rimpinguare le proprie casse: nel report si contempla la possibilità di autorizzare l’ avvio di “nuovi modelli di business” secondo cui i provider possano chiedere ai fornitori di contenuti di pagare perché certi servizi vengano garantiti al meglio.
Gaia Bottà