L’insieme delle stringhe di codice che operino su altri strati di software e così agiscano sulla realtà concreta, possono essere inscatolate in un brevetto: a deciderlo, una corte d’appello del Regno Unito. Symbian potrà ora mettere a frutto una invenzione espressa con il codice, mentre lo spettro dei brevetto software torna ad incombere sull’Europa.
Symbian aveva presentato all’ufficio brevetti europeo ( EPO ) la propria stratificazione di software per migliorare prestazioni e rapidità dei dispositivi: all’azienda era stato garantito il brevetto, nonostante le autorità comunitarie abbiano in più occasioni respinto l’eventualità di adeguarsi al regime statunitense. La richiesta di sigillare con un brevetto l’applicazione per “mappare le librerie di link dinamici in un elaboratore” non era però stata accolta dall’ufficio brevetti del Regno Unito ( UK IPO ), che aveva confermato che un’invenzione fatta di codice non può essere brevettata.
Symbian era ricorsa al tribunale per ribaltare il parere dell’ufficio brevetti, il tribunale aveva accettato le richieste dell’azienda e aveva stabilito la brevettabilità dell’applicazione. Ma lo UK IPO non aveva digerito la sentenza e si era rivolto alla corte d’appello competente nella speranza che sancisse la non brevettabilità del software. La decisione del tribunale non lascia spazio al dubbio : il codice assemblato da Symbian agisce sulla realtà abbastanza per essere brevettato.
“Un computer con questo programma funziona meglio di un computer all’attuale stato dell’arte”: la corte ha stabilito che se l’impiego di un prodotto software agisce e modifica materialmente tecnologie già in circolazione merita di essere tutelato con un brevetto . La corte non ha dubbi: “Dire oh ma questo avviene solo perché si tratta di un programma migliore, il computer in sé rimane lo stesso non è una motivazione sostenibile per non riconoscere l’azione del programma sulla realtà pratica”. Poco importa che i confini del raggio di azione sulla realtà di un prodotto software siano estremamente sfumati : “considerando questa realtà pratica, c’è ben più di un programma migliore , c’è un computer più veloce e affidabile”.
La decisione della corte sancisce dunque la brevettabilità del software che agisce sulla realtà in maniera consistente. Sono in molti a sottolineare come la sentenza, per stessa ammissione di un giudice che spiega che “l’argomento è intrinsecamente complesso”, possa essere scaturita dalle difficoltà di una corte che non abbia compreso appieno la natura di codice e algoritmi. Si tratta di una lacuna del sistema giudiziario che rischia di aprire la strada a softwarehouse che desiderino erigere palizzate attorno all’innovazione.
Gaia Bottà