Si intitola Online targeting of advertising and price la recente analisi di mercato condotta dall’ Office of Fair Trading (OFT) britannico, ovvero l’agenzia governativa impegnata nella tutela dei consumatori e della libera concorrenza. Uno studio partito innanzitutto dai numeri, per dipingere uno scenario in continua crescita come quello della pubblicità online.
L’advertising online ha compiuto dal 2003 al 2008 un deciso balzo in avanti, proprio mentre la fetta dei ricavi ottenuti a mezzo web dal settore pubblicitario britannico lievitava dal 3 per cento al 20 per cento . Una crescita garantita anche grazie alla discussa pratica del behavioural advertising , che sfrutta la possibilità di raccogliere e mettere a frutto dati estratti dalle sessioni di navigazione degli utenti.
Pubblicità personalizzata, mirata, cucita come un abito su misura. Che nel Regno Unito non ha mancato di scatenare aspre polemiche, giusto per citare quello di Phorm come uno dei casi più eclatanti . OFT era già entrato nella vicenda, prima di aprire al dibattito con questo recente studio, a sottolineare potenziali minacce – ma anche intimi benefici per i consumatori – del behavioural advertising .
Un mercato che, stando ai dati riportati dal documento , frutta guadagni annuali tra i 64 e i 95 milioni di sterline . Non certo bruscolini, dato che l’intero settore della pubblicità online si è assestato su un valore di poco superiore ai 3 miliardi di sterline nel corso dell’anno 2008.
OFT ha da una parte parlato di significativi benefici per i consumatori in terra d’Albione. Dal momento che la pratica della pubblicità mirata online ridurrebbe i costi nel settore e quindi farebbe aumentare i guadagni per gli editori web. Il che si trasformerebbe in più contenuti gratuiti a disposizione degli utenti e l’eliminazione di seccanti messaggi pubblicitari di scarso interesse personale.
Sull’altro lato della medaglia, l’authority britannica ha ovviamente parlato di spinosi problemi legati alla privacy degli utenti, ma soprattutto alla raccolta/utilizzo potenzialmente poco puliti dei dati da parte delle varie aziende e servizi del web. Una trasparenza necessaria, che lo stesso Internet Advertising Bureau (IAB) avrebbe preso a cuore grazie ad un’ autoregolamentazione che comprende la possibilità per l’utente di scegliere se concedere il trattamento dei dati .
Ma questo non sarebbe ancora sufficiente. Almeno nell’ottica di OFT che ha sottolineato come lo stesso Information Commissioner’s Office (ICO) britannico abbia poteri di regolamentazione nel settore, in particolare attraverso le predisposizioni del Data Protection Act . “Questo significa – si legge nello studio – che le aziende devono informare i consumatori sulla raccolta dei dati, oltre a mantenerli al sicuro e utilizzarli semplicemente in maniera equa”.
Mauro Vecchio