“Non sono sicuro che possa davvero essere messo in pratica”: così il ministro britannico della Proprietà Intellettuale David Lammy si è espresso riguardo all’eventualità di orchestrare un sistema alla francese di contenimento del file sharing illegale.
Era il mese di luglio quando i provider si sono ammorbiditi, hanno ceduto alle pressioni delle autorità e dell’ industria dei contenuti e hanno firmato un accordo con cui si assumevano la responsabilità di agire da messaggeri: sei ISP, Virgin Media, Sky, Carphone Warehouse, BT, Orange e Tiscali, si erano accordati per recapitare lettere di avvertimento agli indirizzi IP individuati dai detentori dei diritti come impenitenti downloader. Ai moniti si sarebbero dovute aggiungere delle segnalazioni, affinché il downloader si potesse rivolgere a servizi legali. Le prime comunicazioni provider-famiglia avevano raggiunto gli utenti del Regno Unito: l’industria dei contenuti si aspettava di convertire alla legalità 8 pirati su 10.
Se a parere di molti è assodato che le comunicazioni possano sospingere anche i più recidivi sulla retta via, se alcuni provider hanno accettato di buon grado di collaborare con i colossi del copyright, l’esito di una consultazione pubblica che da ottobre ha coinvolto gli operatori e gli utenti della rete del Regno Unito ha lasciato emergere un risultato di segno opposto.
A sostenere la necessità di un approccio al file sharing che si fondi sulla collaborazione e sull’assunzione di responsabilità da parte dei provider sono naturalmente i rappresentanti dell’industria dei contenuti: BPI, che raduna l’industria fonografica oltremanica, sostiene che il P2P illegale rappresenti un problema condiviso fra detentori dei diritti, provider e consumatori, e che come tale vada affrontato. BPI propone un approccio combinato di codici di condotta e di leggi che determinino come i provider debbano comportarsi nei confronti degli utenti che si intrattengono in rete violando il diritto d’autore. Leggi che dovrebbero altresì stabilire come vadano sanzionati i provider che non prendano gli adeguati provvedimenti per arginare la condivisione illegale. ISPA, l’associazione che raccoglie il 95 per cento dei provider del Regno Unito, è di parere contrario. Gli ISP avevano già espresso perplessità riguardo all’eventualità di assumersi la responsabilità di quello che i propri utenti avessero fatto con la connettività, e nella consultazione ribadiscono che si dovrebbe porre l’accento sulla proposta di alternative legali alla condivisione selvaggia. Gli utenti sottolineano invece come il file sharing non sia necessariamente una catastrofe per l’industria dei contenuti.
Dalla consultazione pubblica sono emersi diversi fronti, il governo sembra aver rinunciato a trovare una conciliazione . Il ministro Lammy ritiene che sia improbabile che si ricorra all’imposizione di una legge che obblighi i provider alla disconnessione dei downloader recidivi segnalati dall’industria: sarebbero troppi i diritti da tutelare e le esigenze reclamate dalle parti in causa. Lammy aveva inoltre già spiegato che “non è possibile creare un sistema che preveda di arrestare i ragazzini nelle loro camerette”: sarebbe poco proporzionato imporre sanzioni che agiscano da deterrente parimenti su coloro che “rubano una saponetta dalla propria stanza d’albergo” e coloro che “se ne vanno portandosi via la televisione”.
L’industria dei contenuti, muovendosi nella metafora materiale della ruberia tracciata da Lammy, aveva già ribattuto appellandosi al fatto che “il costo del furto di una saponetta da un hotel potrebbe essere insignificante, ma se sette milioni di persone si portassero via una saponetta ogni anno, che è quello che succede all’industria della musica, sono sicuro che la catena alberghiera prenderebbe provvedimenti”. Non è dato sapere se l’albergatore in questione avrebbe meditato di coinvolgere il governo nella propria crociata contro i ladri di saponette. L’industria spera invece nel Digital Britain report che nei prossimi giorni dovrebbe essere rilasciato nella sua interezza dal ministro della Comunicazioni: secondo le prime indiscrezioni , peraltro non confermate dalle istituzioni, il Ministro intenderebbe proporre l’istituzione di una Rights Agency , un’authority che, foraggiata da colossi dei contenuti e ISP, avrebbe il compito di vigilare sul rispetto delle policy scaturite da una nuova autoregolamentazione. Nell’agenda delineata dal report, spiega il Financial Times , si accenna ad un nuovo obbligo che graverebbe sui provider: dovrebbero raccogliere dati sugli indirizzi IP recidivi. Dati pronti da consegnare all’agguerrita industria dei contenuti.
Gaia Bottà