Uno zigzagare di dati personali, stoccati in un database statale per dieci anni. Questa la strategia con cui il Regno Unito intende mettere al sicuro i propri cittadini dalla minaccia di terrorismo, crimine e immigrazione.
Conterrà tutte le informazioni relative a tutti i viaggiatori che sciameranno dentro e fuori dal Regno Unito: nomi e indirizzi, numeri di telefono e carte di credito. Verranno raccolti dalle autorità aeroportuali e dai servizi di trasporto che offrono la possibilità di abbandonare e raggiungere l’Isola, verranno travasate in uno sconfinato database che alloggerà nei pressi di Manchester.
250 milioni di viaggi all’anno, un’infinità di record che terranno traccia di tutti gli spostamenti degli individui: a vigilare sui dati, a costruire le ragnatele degli spostamenti saranno 300 agenti delle forze dell’ordine, supportati da altrettanti tecnici che collaboreranno con la polizia, i servizi segreti e altre agenzie governative nella gestione e nell’interpretazione dei dati. Ogni record immagazzinato verrà confrontato con l’archivio e con le liste dei soggetti pericolosi: con il tracciamento , le autorità non hanno dubbi, si potrà “tenere sotto controllo le persone dentro e fuori dai confini sotto il profilo della sicurezza”.
Il programma e-Borders , nel quale si inquadra il database, sarà attivo al 95 per cento al termine del prossimo anno, per culminare nel 2014. L’avvio del piano risale al 2004: le autorità hanno ora a disposizione i dati relativi a 70 milioni di spostamenti, quelli che si sono intrecciati lungo le rotte considerate a rischio, ma nel giro di tre mesi si raggiungeranno i 100 milioni.
Poco importa che solo nei giorni scorsi la Constitution Committee della House of Lords abbia rilasciato un documento che invitava le autorità del Regno a temperare la sorveglianza e a consolidare misure di sicurezza a presidio dei dati spesso troppo lasche: l’urgenza del controllo appare prioritaria per il governo. “Il Regno Unito ha le frontiere più solide del mondo e siamo determinate a mantenerle tali – ha spiegato Phil Woolas, il ministro che gestisce le politiche dell’immigrazione – il nostro sistema elettronico high-tech che vigila sulle frontiere ci permetterà di contare tutti i passeggeri dentro e fuori dai confini e di individuare coloro che non sono intenzionati a giocare secondo le nostre regole”.
Sono parole a cui ha risposto senza mezzi termini il ministro ombra degli Interni, Chris Grayling: “Il governo sembra che costruisca database per tracciare le nostre vite in maniera sempre più invasiva”. Il tecnocontrollo , suggerisce il ministro, non dovrebbe essere brandito dalle autorità per incutere timore nei cittadini e per indurli a rassegnarsi ad un’irreprensibilità imposta . Non si tratterebbe di rispondere a esigenze di sicurezza dettate da particolari contingenze, spiega Grayling: “La verità è che abbiamo un governo su cui semplicemente non si può fare affidamento riguardo a queste questioni così delicate – denuncia – non dobbiamo permettere che si diventi una società Orwelliana”.
Ma database e progetti di database proliferano e si insinuano nel corpo e nelle relazioni dei cittadini, mentre le falle nei sistemi di sicurezza stentano ad essere contenute. A sottolineare i rischi connessi al progetto e-Borders non sono solo le associazioni a tutela dei diritti dei cittadini. “Molto di tutto ciò – spiega un rappresentante dell’ufficio immigrazione – serve per combattere il crimine e il terrorismo, ma ci sono altri impieghi che potrebbero costituire un problema”.
Gaia Bottà