Quando manca ormai meno di un mese alla elezioni di medio termine statunitensi, importante cartina tornasole per comprendere con quale orientamento oltreoceano ci si avvicinerà alle presidenziali del 2020, Facebook annuncia un’azione di forza nei confronti di coloro che utilizzano la piattaforma al fine di veicolare informazioni e contenuti potenzialmente ingannevoli o comunque tendenziosi.
Via 800+ tra pagine e account
599 pagine e 251 account sono stati eliminati dal social network poiché ritenuti responsabili di comportamenti finalizzati a manipolare o influenzare l’opinione pubblica attraverso la creazione di una rete al solo fine di innescare polemiche o dibattiti parziali su questioni politiche, americane e non solo.
Colpiti anche quelli che FB ritiene bad actors responsabili di campagne di spam o clickbait il cui unico scopo è generare traffico su siti esterni alla piattaforma, così da guadagnare dall’advertising o dalla commercializzazione dei prodotti più svariati. Ecco quanto si legge nel comunicato ufficiale rilasciato dal social.
Le persone devono fidarsi delle connessioni su Facebook. Ecco perché abbiamo una policy che vieta i comportamenti coordinati e non autentici come i network di account o pagine al lavoro per ingannare gli altri a proposito della loro identità o attività. Quest’anno abbiamo rafforzato la policy nei confronti di pagine, gruppi e account creati per infiammare il dibattito politico negli Stati Uniti, nel Medio Oriente, in Russia e in UK. Ma la maggior parte di queste attività su Facebook è spam motivato principalmente dal denaro, non dalla politica.
La lotta a disinformazione e misinformazione rimane una priorità assoluta per Facebook, ma il risultato delle azioni messe in campo non sempre porta all’esito sperato. C’è chi, come Free Thought Project, Anti-Media (eliminato anche da Twitter) e la giornalista Rachel Blevins di RT America lamentano di essere stati estromessi dal social network senza alcuna valida motivazione. Ai diretti interessati viene mostrato un avviso che comunica la possibilità di appellarsi alla decisione se ritenuta errata e non fondata.
La tua pagina è stata eliminata per un comportamento scorretto come la gestione da parte di un account fake, l’aver ingannato gli utenti o la violazione delle policy di Facebook in merito allo spam. Questo va contro i nostri termini di utilizzo per le pagine e gli standard che aiutano a mantenere la nostra community sicura e rispettosa. Se pensi che abbiamo commesso un errore, puoi appellarti e daremo un’occhiata.
So @facebook claims you can submit an "appeal" if you think they "made a mistake" by taking your page down, but it has been several hours, and I have yet to receive a response.
Has anyone else received any word from Facebook on if they plan to address this? pic.twitter.com/vI4Bm49Kpt
— Rachel Blevins (@RachBlevins) October 12, 2018
Il pugno duro di Facebook
Quel che cambia rispetto al passato è l’atteggiamento del social nei confronti di coloro ai quali vengono attribuiti comportamenti potenzialmente lesivi per la community: se prima Facebook tendeva a penalizzare le pagine e i loro contenuti abbattendone il ranking e di conseguenza l’indicizzazione all’interno del feed, ora procede direttamente all’eliminazione. È accaduto di recente anche per Alex Jones e Infowars, a pochi giorni di distanza dalla comparsa di un esponente del gruppo di fronte al Congresso USA.
Da una parte vi è dunque l’esigenza di tutelare gli utenti, impedendo che sui monitor dei loro computer e sui display dei loro smartphone compaiano notizie false o alterate al fine di influenzarne l’opinione, specialmente in vista di una chiamata alle urne (le interferenze russe nelle presidenziali USA dovrebbero aver insegnato qualcosa). Dall’altra la necessità di garantire la libertà d’espressione a ogni soggetto, purché nel rispetto delle normative e impedendo la circolazione di informazioni fallaci. Nel mezzo un delicato equilibrio per il quale, a quanto pare, ancora non è stata trovata la giusta formula.