Londra – Nel regno della pizza e del mandolino per mettere freno alla “sconcezza” online si pensa alle leggi speciali . In UK, invece, il dibattito sulla responsabilità di chi pubblica contenuti online è incentrato sull’auto-regolamentazione .
Questa è infatti la proposta del direttore della Press Complaints Commission (PCC) anglosassone, un’organizzazione indipendente che si occupa di fare gli interessi dei cittadini investigando su eventuali abusi dei giornali o violazioni del Codice di Condotta della stampa.
In sintonia con una visione tipicamente liberale, Tim Toulmin ha suggerito che i blogger e creatori di contenuti aderiscano volontariamente ad un codice di condotta che “governi” le pubblicazioni online. L’idea è di adottare lo stesso sistema utilizzato nella stampa.
La PCC già nel 1990 ha redatto un codice di condotta riguardante l’etica giornalistica, che la maggior parte dei giornali e delle riviste anglosassoni continuano ad osservare. Nel documento sono trattati temi di ogni tipo: dal rispetto della privacy ai metodi consentiti nel giornalismo finanziario. E anche vero, però, che alcune realtà editoriali preferiscono sottoscrivere normative interne o quelle di categoria, come ad esempio la Society of Professional Journalists .
“Per farsi un’idea di che cosa sarebbe l’industria editoriale senza controlli basta dare un’occhiata su Internet”, ha dichiarato Toulmin. La maggior parte dei blog e dei siti anglosassoni, infatti, non aderisce ad alcun codice di condotta. “I blog sono parte integrante di uno sviluppo digitale positivo ma è anche vero che le cose più inaccettabili spesso si trovano proprio lì”, ha aggiunto Alastair Campbell, Director of Communications and Strategy di Downing Street.
In pratica, Toulmin vorrebbe che fosse possibile per chiunque denunciare abusi rilevati online senza dover passare attraverso le Corti di Giustizia. PCC, come avviene già adesso, si occuperebbe delle querelle proponendo una soluzione, alle parti in causa, in non più di 25 giorni. In alcuni casi basterebbe anche un’immediata rettifica online con tutti i dettagli del caso, e quindi anche i riferimenti all’intervento della PPC. Ovviamente tutto questo sarebbe possibile solo nel caso in cui la testata “incriminata” abbia aderito precedentemente al codice di comportamento.
Secondo alcuni esperti, la strategia proposta potrebbe essere certamente praticabile, con benefici per tutti. Al momento infatti, solo in caso di diffamazione si può disporre degli strumenti adeguati per intervenire. Un codice che enfatizzi l’onestà, il rispetto per la privacy e l’etica giornalistica sarebbe apprezzato. Non una soluzione sufficiente per far fronte al razzismo o a estremismi, ma probabilmente un punto di partenza per normalizzare l’attuale Far West, sostiene Toulmin.
“Libera parola e libera stampa sono sinonimi perché anche tutto ciò che viene espresso online deve rispettare le Leggi”, ha dichiarato Toulmin. “Leggi che proteggono la privacy e i diritti civili di una persona”. “Noi non siamo in favore di una regolamentazione (dall’alto) di Internet. Il flusso delle informazioni non dovrebbe essere regolamentato da nessun governo”. Qualcuno a Roma è in ascolto?
Dario d’Elia