Revenge porn, Google non indicizza la vergogna

Revenge porn, Google non indicizza la vergogna

Estremamente personali e degradanti, tali contenuti non rappresentano un valore per il Web: Google promette di mettere a disposizione un sistema per gestire le richieste di rimozione dai risultati di ricerca
Estremamente personali e degradanti, tali contenuti non rappresentano un valore per il Web: Google promette di mettere a disposizione un sistema per gestire le richieste di rimozione dai risultati di ricerca

Google ha annunciato che accetterà le richieste di rimuovere dai risultati offerti dal suo motore di ricerca tutti i link che portano a contenuti a luci rosse caricati online da partner vendicativi a cui i soggetti ritratti nelle foto hanno dispensato troppa fiducia.

Google ravvisa nel revenge porn contenuti “estremamente personali ed emotivamente dannosi, che servono solo a degradare le vittime, soprattutto donne”.
Che si tratti di un ex-partner che vuole umiliare una persona divulgando online immagini della loro intimità per danneggiarne la reputazione, che siano filmati ottenuti attraverso piattaforme di incontri online con la promessa – poi tradita – della riservatezza, il revenge porn è costituito da tutti quei frammenti di intimità condivisi contro la volontà di uno dei diritti interessati.

Tali contenuti sono considerati, ormai anche dalle sentenze giuridiche , una vera e propria gogna mediatica fondata su meccanismi estorsivi e/o vendicativi.

Prima di Google, già Twitter aveva proibito esplicitamente le immagini di nudo catturate e condivise senza il consenso del soggetto ritratto: per farlo ha affinato le proprie policy prevedendo esplicitamente il blocco degli account che postino tali tipi di contenuti.

La nuova promessa del motore di ricerca, che assumerà le forme di un nuovo form di segnalazione online , dunque, garantirà alle vittime del revenge porn che i contenuti frutto della violazione della loro intimità e della loro immagine non siano facilmente rintracciabili online. D’altra parte Google, in qualità di gatekeeper della Rete, non ha né la pretesa né la possibilità di rimuoverli dalla fonte originaria, per cui resta valido il ricorso alla giustizia.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
22 giu 2015
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