Revenge porn, non tutto il nudo vien per nuocere

Revenge porn, non tutto il nudo vien per nuocere

Le leggi che puniscono la pubblicazione di immagini intime senza il consenso del soggetto ritratto prestano il fianco agli abusi, se sono troppo generiche. E possono stridere con i diritti costituzionali
Le leggi che puniscono la pubblicazione di immagini intime senza il consenso del soggetto ritratto prestano il fianco agli abusi, se sono troppo generiche. E possono stridere con i diritti costituzionali

Le intenzioni della legge erano quelle di scoraggiare la circolazione di immagini di nudo postate per scherno e vendetta in Rete, il risultato potrebbe essere quello di etichettare come responsabile di un abuso sessuale colui che mostri a terzi o metta in circolazione una immagine innocua, capace di testimoniare eventi di cronaca, o classificabile come arte.

Nel turbinio delle iniziative adottate dentro e fuori dagli States per contenere il fenomeno del revenge porn e placare le apprensioni dei cittadini della Rete che gestiscono la propria immagine con troppa fiducia nei confronti delle persone con cui comunicano, l’impatto mediatico e la mano pesante del legislatore iniziano a scontrarsi con la realtà e con gli altri diritti che sono riconosciuti ai cittadini dalla Costituzione. A sollevare il problema , una coalizione di librerie, biblioteche, editori, giornali e fotografi rappresentata dall’ American Civil Liberties Union (ACLU): il testo della legge con cui l’Arizona ha scelto di contrastare il fenomeno del revenge porn si scontra con la possibilità di diffondere immagini di nudo che non arrechino alcun danno alla persona ritratta, comprimendo così la libertà di espressione e di informazione.

La legge dell’Arizona , infatti, condanna come un criminale e può punire con 3 anni e 9 mesi di carcere colui che “intenzionalmente riveli, diffonda, distribuisca, pubblichi, pubblicizzi o offra una fotografia” o altri tipi di immagine che ritraggano “un’altra persona in condizioni di nudità o nel momento in cui stia praticando delle attività sessuali” nel caso in cui “sa o dovrebbe sapere” che la persona ritratta non avrebbe acconsentito alla circolazione dell’immagine. Gli esempi citati da ACLU sono esplicativi: potrebbe essere ritenuto colpevole colui che diffonda immagini che testimonino atti di tortura, coloro i quali a fini educativi mostrino delle madri intente nell’ allattare al seno , familiari che condividano degli innocenti scatti di minori, vittime di abusi sessuali che chiamino a testimonianza le foto dell’assalitore catturate nel momento dell’aggressione.

Non si tratta evidentemente di immagine rese pubbliche con l’intento di arrecare gratuitamente danno alla persona ritratta, facendo leva sulla sua reputazione: eppure, la legge dell’Arizona non traccia alcun distinguo fra le intenzioni di chi si trovi a condividerle e fra le motivazioni che non hanno permesso di ottenere l’autorizzazione alla circolazione da parte del soggetto dell’immagine. Non si traccia inoltre alcun confine alla natura delle immagini : a contare è la nudità, anche quella rivelata da abiti troppo poco coprenti, e non il carattere pornografico o osceno. Ma il corpo umano è spesso fonte di ispirazione per opere d’arte, o può figurare nelle cronache quale testimonianza di fatti realmente accaduti.

La legge approvata dall’Arizona soffrirebbe dunque di numerose falle, che potrebbero rappresentare una condanna per cittadini che agiscano con le migliori intenzioni, e senza danneggiare la reputazione di nessuno. Per questo motivo, ACLU chiede che il testo venga analizzato alla luce della Costituzione, affinché venga eventualmente affinato, così da tutelare i diritti di coloro che operano nel pubblico interesse senza rinunciare a scoraggiare coloro che abusino di immagini che sfruttino l’intimità come uno strumento per ferire.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
25 set 2014
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